Di Maio dice che Arata «puzzava di bruciato da lontano. La politica doveva prendere le distanze»

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Il riferimento, seppur pacato, è all'atteggiamento della Lega

Il nome di Paolo Arata è tornato a campeggiare su tutte le pagine dei giornali dopo il suo arresto e quello di suo figlio Francesco. Il siciliano, infatti, è finito in manette questa mattina nell’ambito di un’inchiesta per i suoi contatti con Vito Nicastri, considerato il «re dell’eolico» in Sicilia. L’accusa di intestazione fittizia, con l’aggravante di mafia, corruzione e autoriciclaggio di fondi. Ma l’indagine non riguarda lo stesso filone in cui è stato iscritto anche il nome dell’ex sottosegretario leghista Armando Siri. Una vicenda dai contorni preoccupanti e, in attesa del processo, Luigi Di Maio sostiene di aver sospettato di lui già da tempo.



«Rispetto il lavoro della magistratura, non voglio entrare nel merito, certo in questo caso la puzza di bruciato si sentiva da lontano – ha detto il leader del Movimento 5 Stelle, contattato telefonicamente da AdnKronos – Ogni volta che c’è un minimo sospetto su qualcosa, in cui emergono legami con la corruzione e la mafia, la politica deve saper subito prendere le distanze». Quest’ultimo riferimento sembra essere il classico vestito su misura cortesemente inviato alla Lega che, all’indomani dell’inchiesta che vede coinvolto anche Armando Siri, non ha dato un giudizio netto sulla figura di Arata.

Di Maio dice che Arata puzzava di bruciato già da tempo

Paolo Arata, infatti, era consulente per l’Energia scelto dalla Lega per le valutazioni sulle rinnovabili, in special modo per quel che riguarda il Sud Italia. L’avviso di garanzia nei suoi confronti (e del figlio Francesco) gli era stato consegnato poco più di due mesi fa e questa mattina sono arrivate le manette. Come detto, il filone dell’inchiesta è diverso da quello che vede coinvolto l’ex sottosegretario al Mit Armando Siri, ma le ombre sulla sua figura erano state rese evidenti dai suoi contatti con Vito Nicastri, accusato di essere uno dei finanziatori della latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro, il ricercato numero uno d’Italia.



Non è coinvolto il figlio che collabora con Giorgetti

Il figlio di Arata, finito in manette con lui, non è la stessa persona che collabora con Giancarlo Giorgetti a Palazzo Chigi come collaboratore. Il nome di Federico, infatti, non compare in nessuna pagine dell’inchiesta della Magistratura.

(foto di copertina: ANSA/FABIO FRUSTACI)