App per il monitoraggio del ciclo: usate per rintracciare le donne che vogliono abortire nei paesi dove è illegale?

Categorie: Cyber security
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C'è chi ha chiesto a chi utilizza queste app di rimuoverle per evitare che i dati raccolti possano essere utilizzati per prendere di mira donne che vogliono abortire

La Corte Suprema degli Stati Uniti dovrebbe ribaltare il caso storico del 1973 (Roe v. Wade), che riconosceva il diritto costituzionale di una donna all’aborto, permettendo agli stati di scegliere se disciplinare o vietare la procedura. Questa presunta decisione, trapelata da bozza di parere e che non è ancora stata emessa, rappresenterebbe un enorme passo indietro in tema di diritti delle donne, perché i diritti di aborto sarebbero protetti in meno della metà di tutti gli stati degli Stati Uniti. Pertanto, la bozza trapelata ha riacceso il dibattito sulla tutela della privacy – o sull’insufficienza di questa — in particolar modo relativamente alle app utilizzate per il monitoraggio del ciclo da quasi 1/3 delle donne negli USA. Anche se queste app sono molto diffuse e, sicuramente, sono utili per chi intende controllare il proprio ciclo mestruale ed evitare una gravidanza indesiderata, o tenere traccia dei segni della menopausa, è noto a tutti che l’obiettivo di molte di queste app va oltre quello dei periodi di tracciamento: ci si è, dunque, chiesti se queste app per il monitoraggio del ciclo sarebbero in grado di rintracciare le donne che intendono sottoporsi all’aborto.



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App di monitoraggio del ciclo potrebbero essere utilizzate per rintracciare le donne che vogliono sottoporsi all’aborto

Il monitoraggio dei cicli mestruali pare essere un’attività redditizia per gli sviluppatori, poiché molti di questi condividono i dati personali e l’attività degli utenti sulle app con marketer e inserzionisti di terze parti. Alla luce della bozza trapelata, alcuni hanno chiesto alle persone di eliminare le loro app di monitoraggio del ciclo per evitare che i dati raccolti da queste app possano essere utilizzati per individuare e punire coloro che cercano un aborto. Eva Galperin, direttrice della Cybersecurity presso la Electronic Frontier Foundation, ha dichiarato a TechCrunch: «Penso che siamo di fronte a un futuro in cui i dati raccolti dalle app di monitoraggio del ciclo potrebbero essere utilizzati sia come una rete per identificare le donne che potrebbero aver avuto un aborto o come prova che una donna ha avuto un aborto in un futuro in cui cercare o abortire è criminalizzato, cosa che i sostenitori dell’anti-aborto sono stati ansiosi di fare». I timori espressi da Galperin sono condivisi da molte persone e non paiono infondati. Chi utilizza un’app per monitorare le proprie mestruazioni inserisce i suoi dettagli più intimi, come le date di inizio e fine ciclo, il peso e l’ultima volta che ha avuto rapporti sessuali non protetti. Ciò, diversamente dalle cartelle cliniche conservate negli ospedali, non è protetto né controllato; cioè, le informazioni raccolte da queste app non sono coperte dall’Health Insurance Portability and Accountability Act (HIPAA), la legge federale del 1996 che limita la condivisione dei dati sanitari dei pazienti da parte degli operatori sanitari. Ne deriva che i produttori di queste app per la salute sono praticamente liberi di fare ciò che vogliono con i dati raccolti.



Per alcuni, addirittura, i dati di queste app potrebbero essere utilizzati dalle autorità per rintracciare persone che cercano di abortire o che in precedenza si sono sottoposte a tale attività. Per altri, queste sono timori privi di qualsivoglia fondamento poiché, innanzitutto, c’è il problema della precisione, cioè le app di monitoraggio del ciclo sono spesso errate e il ciclo mestruale di una persona è variabile, ovvero sensibile a una serie di condizioni esterne come esercizio fisico, stress, farmaci, traumi o problemi familiari. Secondo gli esperti, informazioni come il giorno dell’ovulazione ed il periodo di fertilità possono essere previste con precisione solo utilizzando un marker di ovulazione, come la temperatura corporea basale o bastoncini di ovulazione, e alla stessa conclusione è giunto lo studio del 2018, il quale ha individuato che: «La precisione della previsione dell’ovulazione non era migliore del 21% dalle app. I giorni standard e i metodi del ritmo avevano maggiori probabilità di predire l’ovulazione (70% e 89%, rispettivamente), ma avevano un’accuratezza molto bassa», concludendo che: «I giorno dell’ovulazione varia considerevolmente a seconda della durata del ciclo mestruale, quindi non è possibile per i metodi calendario/app che utilizzano solo le informazioni sulla durata del ciclo per prevedere con precisione il giorno dell’ovulazione». Ma non la pensa così Eva Galperin di EFF, che dichiara: «Sono i fornitori di aborti e le persone che lavorano nelle reti di sostegno all’aborto che sono nel pericolo più immediato in questo momento».

In breve, date le opinioni discordanti sull’utilizzo dei dati da parte di queste app e, fino ad ora, nessuno studio che ha accertato l’attendibilità degli stessi, si ritiene che sia improbabile che questi dati vengano accettati come prove in un tribunale statunitense, in cui vige la regola dell’«oltre ogni ragionevole dubbio», standard legale di prova richiesto per convalidare una condanna penale.