Alla fine, più che una vera e propria Amazon Tax, si può parlare di una sorta di Amazon Pax. Nella legge di bilancio che è stata approvata dal consiglio dei ministri e che sarà, nei prossimi giorni, all’esame del parlamento, non compare infatti la voce che avrebbe tassato le consegne dei beni non di prima necessità. I colossi dell’e-commerce (non soltanto Amazon) avrebbero scontato una sorta di sovrapprezzo per le consegne a domicilio. Lo scopo dell’esecutivo – che, lo ripetiamo, non ha tuttavia dato seguito a questa proposta originaria – era quella di favorire i negozi di prossimità.
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Tuttavia, questa proposta non è – al momento – tra quelle inserite nella manovra. Non è detto che non sarà attuata in futuro da questo governo, ma sicuramente in manovra le risorse per portare avanti gli altri aspetti identitari voluti dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni saranno reperite altrove. Inizialmente, l’Amazon Tax era stata pensata per ridurre il cuneo fiscale (questa misura è stata inserita nella manovra, ma verrà finanziata diversamente).
Il settore dell’e-commerce è stato in costante crescita. La ragione della proposta di una Amazon Tax (che, in realtà, non si sarebbe limitata a colpire solo Amazon, ma che avrebbe escluso a prescindere le consegne a domicilio del settore food) era incentivare un ritorno all’acquisto sul territorio anche per beni non strettamente collegati al territorio stesso. Una sorta di “sovranismo” di secondo livello (non quello produttivo, ma quello distributivo). È stato però fatto notare all’esecutivo che, anche in Italia, aziende come Amazon hanno favorito anche i piccoli e medi produttori del nostro Paese. Probabile che, in seguito a questa valutazione, il governo abbia – per il momento – chiuso la porta a questo tipo di tassa.