Cosa vuol dire essere infermiera in uno stato di emergenza sanitaria

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Il racconto di Alessia Bonari sui social, con sul volto i segni della mascherina

In questi giorni, complice la diffusione dei social, sono tanti i medici e gli infermieri che mostrano gli sforzi che stanno compiendo per aiutare i cittadini italiani a sconfiggere il Coronavirus. Non per vanto, ma per sensibilizzare l’intera popolazione ad attuare comportamenti in grado di fermare la diffusione dei contagi. Gli ospedali sono pieni, il personale medico è in palese difficoltà nel gestire tutta questa situazione. I turni di dottori e infermieri sono senza sosta. Dopo la foto di Elena Pagliarini a Cremona, ecco la storia di Alessia Bonari dall’ospedale di Grosseto.



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Un breve racconto, ma pieno di significato quello pubblicato dall’infermiera di Grosseto sulla propria pagina Instagram, accompagnato da una foto simbolica, con gli ‘effetti’ della mascherina – diventata il vero simbolo della lotta a questa emergenza sanitaria – sul suo giovane volto. Perché Alessia Bonari è giovane, laureata in scienze infermieristiche a Siena nel 2018 e lavora da meno di un anno nell’Ospedale di Grosseto. E proprio ai suoi coetanei ha rivolto un appello che, oltre alle parole, si legge sui segni lasciati da quella mascherina sul proprio volto.



Alessia Bonari, il racconto dell’infermiera di Grosseto

«Sono un’infermiera e in questo momento mi trovo ad affrontare questa emergenza sanitaria. Ho paura anche io, ma non di andare a fare la spesa, ho paura di andare a lavoro – scrive Alessia Bonari su Instagram -. Ho paura perché la mascherina potrebbe non aderire bene al viso, o potrei essermi toccata accidentalmente con i guanti sporchi, o magari le lenti non mi coprono nel tutto gli occhi e qualcosa potrebbe essere passato».



I timori, quelli di molti che dovrebbero essere di tutti. I segni, quelli visibili ma che non fermeranno il suo amore per quella scelta di vita fatta anni fa e che ora, in un momento di emergenza, non viene accantonata: «Sono stanca fisicamente perché i dispositivi di protezione fanno male, il camice fa sudare e una volta vestita non posso più andare in bagno o bere per sei ore. Sono stanca psicologicamente, e come me lo sono tutti i miei colleghi che da settimane si trovano nella mia stessa condizione, ma questo non ci impedirà di svolgere il nostro lavoro come abbiamo sempre fatto. Continuerò a curare e prendermi cura dei miei pazienti, perché sono fiera e innamorata del mio lavoro».

L’appello ai giovani

«Quello che chiedo a chiunque stia leggendo questo post è di non vanificare lo sforzo che stiamo facendo, di essere altruisti, di stare in casa e così proteggere chi è più fragile. Noi giovani non siamo immuni al coronavirus, anche noi ci possiamo ammalare, o peggio ancora possiamo far ammalare – conclude Alessia Bonari -. Non mi posso permettere il lusso di tornarmene a casa mia in quarantena, devo andare a lavoro e fare la mia parte. Voi fate la vostra, ve lo chiedo per favore».

(foto di copertina: da profilo Instagram)