La vera storia del musicista diventato rider (non) per colpa del Covid

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Il fratello di Adriano Urso, morto d'infarto qualche notte fa, ha smentito la narrazione di molti quotidiani e siti di informazione

Narrazioni giornalistiche che diventano virali, anche se hanno poco a che vedere con la verità. Spesso e volentieri ci troviamo di fronte ad articoli di giornali (sia sul cartaceo che online, ma anche in televisione) che riportano fatti di cronaca offrendo una realtà che, però, non è confermata. Anzi, viene smentita. L’ultimo caso è quello di Adriano Urso, il musicista morto d’infarto mentre spingeva la sua macchina. Tante (quasi tutte) le testate che hanno sottolineato come il 41enne fosse morto mentre faceva il rider a causa della crisi economica dovuta al Covid. Pochi, solamente una persona, hanno cercato di verificare se questa informazione (molto melodrammatica per accalappiare i facili like e click) fosse veritiera.



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A dare una connotazione ben differente rispetto alla narrazione fatta dai media sulla vita di Adriano Urso è stata Selvaggia Lucarelli che, questa mattina, ha intervistato Emanuele, fratello del 41enne. Ed è lui che ai microfoni de Le Mattine (in onda su Radio Capital) ha smentito questa fantasiosa ricostruzione: non faceva il rider per motivi economici legati alla crisi per la pandemia in corso. L’intervista radiofonica è disponibile a questo indirizzo (a partire dal minuto 14).



Adriano Urso, la vera storia del musicista diventato rider

«Sicuramente non si sta navigando nell’oro, ma quello che ho letto in giro non è proprio esatto. Nel senso che noi viviamo in una grande casa con la famiglia, però il problema è che mio fratello era soprattutto abituato a stare in mezzo alla gente, perché con il lavoro che facciamo noi siamo in contatto con le persone. Lui non riusciva a stare fermo, a casa. Non riusciva ad affrontare questa cosa in maniera tranquilla. Noi facevamo, almeno, sui tre concerti a settimana, quindi dodici concerti al mese. Poi lui non suonava solamente con la mia situazione musicale. Lui, quindi, suonava quasi tutte le sere. Amava la vita dei night club, era un nostalgico di via Veneto e della Dolce Vita».

La verità era ben diversa dai titoli acchiappaclick

«Lui, nelle consegne, aveva trovato il modo per girare un po’ di notte. Magari passava lì, telefonava all’amico e gli diceva ‘scendi un attimo che ci facciamo due chiacchiere’. Questo era. Perché la realtà è che quel lavoro (il rider, ndr) non era assolutamente remunerativo e lui lo faceva un paio di volte a settimana.  Il discorso è questo: è stato trovato il cubo di Just Eat dentro la macchina e poi da questo è nata tutta una divagazione. Magari mi si poteva chiedere un’informazione più precisa prima di scrivere. Io ho letto delle cose che non sono proprio esatte».



Selvaggia Lucarelli, infine, chiede a Emanuele Urso: «Lui non era sul lastrico e aveva bisogno di portarsi a casa poche centinaia di euro?». E la risposta è laconica: «No, lui aveva bisogno di sentirsi utile in qualche modo e aveva bisogno di stare con la gente. Ma a livello economico stavamo bene, abbastanza bene». Bastava chiedere, ma nessuno ha chiesto. Quasi nessuno