Abortire dopo i primi 90 giorni

Di 194 si parla abbastanza spesso ultimamente, o per gli alti numeri degli obiettori di coscienza o, proprio in questi giorni e a sproposito, per il cimitero dei feti a Firenze. Se già l’argomento ben si presta a feroci discussioni e a scontri insanabili, ancora più controversi possono essere gli interventi effettuati in un tempo di gestazione avanzato. Gli aborti tardivi presentano caratteristiche diverse da quelli precoci. La legge 194 non sancisce la facoltà di abortire, né prima né dopo i 90 giorni, ma indica le condizioni necessarie per richiedere un’IVG.

LA SOGLIA – Le condizioni sono diverse in base all’avanzamento della gravidanza, e la soglia è stata individuata sul finire del primo trimestre. Ovviamente è un confine arbitrario, come ogni linea tracciata su un processo biologico e continuo. In genere soglie di questo tipo sono valutate in base allo sviluppo di alcune caratteristiche, in questo caso specifico in base allo sviluppo embrionale. Come la soglia della maggiore età, i confini saranno inevitabilmente nebbiosi. È una linea che non è possibile rendere più nitida, perché la legge deve dire da quando (cioè, da quale momento in poi) si può o non si può compiere un’azione (interrompere una gravidanza, votare): è però ovvio che a 17 anni meno un giorno non sono molto diverso da quando ne avrò compiuti 18, com’è ovvio che un embrione di 8 settimane non è molto diverso da un embrione di 8 settimane e un giorno. È come se dovessimo decidere in quale punto segnare un confine lungo un fiume che scorre.

Tabella 19

DOPO I PRIMI 90 GIORNI – Gli articoli che regolano l’IVG dal secondo trimestre in poi stabiliscono che (articolo 6): «L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna», e che (articolo 7): «I processi patologici che configurino i casi previsti dall’articolo precedente vengono accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente ospedaliero in cui deve praticarsi l’intervento, che ne certifica l’esistenza. Il medico può avvalersi della collaborazione di specialisti. Il medico è tenuto a fornire la documentazione sul caso e a comunicare la sua certificazione al direttore sanitario dell’ospedale per l’intervento da praticarsi immediatamente.
Qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente pericolo per la vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure previste dal comma precedente e al di fuori delle sedi di cui all’articolo 8. In questi casi, il medico è tenuto a darne comunicazione al medico provinciale. Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto».

EPOCA GESTAZIONALE – La relazione ministeriale sull’applicazione della 194  del 2013 riporta la distribuzione delle IVG per settimane di gestazione. I dati, relativi al 2011, sono sintetizzati nella Tabella 19: il 41,8% delle IVG sono effettuate entro le prime 8 settimane, il 15,1% intorno a 11-12 settimane, il 3,4% dopo la 12esima. Gli interventi precoci aumentano rispetto agli anni passati. Le IVG dopo le prime 12 settimane sono in genere decise dopo una diagnosi prenatale che rileva patologie fetali o per problemi di salute della donna. Oltre che da un punto di vista giuridico e clinico, queste IVG sono in genere gravidanze volute e che si decide di interrompere a causa di processi patologici. I numeri di queste IVG, nel caso di patologie fetali, sono correlati all’avanzamento e alla disponibilità delle tecnologie prenatali o di altre tecnologie (si pensi alla diagnosi genetica di preimpianto per le patologie genetiche).

TETTO MASSIMO – Il limite temporale per le interruzioni dopo i 90 giorni non è stabilito nella 194 e, come nel caso del prima e dopo i 90 giorni, deve vedersela con la questione della soglia. Il confine oltre il quale non si può interrompere una gravidanza è legato alla possibilità del feto di sopravvivere autonomamente, intorno alla 24esima settimana di gestazione. La possibilità di sopravvivenza del feto al di fuori del corpo materno è un elemento determinante, ma non sempre facile da indicare e dipendente dalle tecnologie a disposizione – non in tutte le strutture c’è la terapia intensiva neonatale, solo per fare un esempio. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una finestra temporale, nebbiosa e difficile da stabilire con certezza, piuttosto che con un momento preciso in cui.

PATOLOGIE FETALI – Possono essere di varia entità, incompatibili o compatibili con la sopravvivenza del nascituro. La 194 non prevede la possibilità di interrompere una gravidanza perché è stata riscontrata una patologia, cioè non permette di eliminare il feto affetto da una patologia, ma permette di farlo considerando i possibili effetti di una simile informazione sulla donna – «un grave pericolo per la salute […] psichica della donna». Questa motivazione può essere considerata troppo permissiva, troppo restrittiva, una scappatoia ipocrita, un compromesso di comodo. Questa motivazione coinvolge gli psichiatri nel processo che precede le IVG dopo i primi 90 giorni. Marco Tarantino, psichiatra, lavora in un Centro di igiene mentale e ha incontrato alcune donne che chiedevano di interrompere la gravidanza in seguito a una diagnosi prenatale e per una possibile patologia psichica.

DOPO UNA DIAGNOSI PRENATALE – Dopo una diagnosi prenatale che ha riscontrato una patologia fetale, una donna può decidere di voler interrompere la gravidanza. Una volta accertate le condizioni organiche, si apre lo spazio della valutazione psichica. Mi dice Tarantino: «Si interpella lo psichiatra quando non ci sono rischi fisici evidenti, ma possibili problematiche psicologiche. La consulenza psichiatrica si svolge nel reparto di Ginecologia o nel Centro di igiene mentale. Si devono accertare le condizioni psichiche della donna che richiede l’IVG. Io devo cioè valutare se ci sono rischi di psicopatologia: ho visto raramente casi di psicosi, più frequentemente sono casi di depressione “reattiva” alla notizia. Si tratta di vissuti depressivi legati al non volere portare avanti quella gravidanza, vissuti negativi sul futuro proprio e del nascituro. Nell’attestare lo stato di salute mentale devo fare una valutazione prognostica sugli effetti del proseguimento della gravidanza».

PATOLOGIE NON MORTALI – Nel caso di una patologia mortale, la decisione da prendere può essere meno conflittuale di una da prendere di fronte a patologie non mortali. Continua Tarantino: «Non mi è mai capitato di incontrare una donna che abbia cambiato idea sul portare avanti una gravidanza in uno stadio avanzato senza un motivo importante. Ho incontrato donne che hanno scoperto che il feto era affetto dalla Sindrome di Down e che non riuscivano a pensare di portare avanti la gravidanza. È per loro che si autorizza l’interruzione della gravidanza, non per eliminare il feto “difettoso”. Per evitare che il vissuto che questa notizia comporta peggiori». È la legge a prevedere questa procedura, e a creare le condizioni anche per quella che potrebbe diventare una scusa, o un pretesto facilmente invocabile. È il rischio di non aver depenalizzato il ricorso all’IVG, ma di averne stabilito le condizioni di accesso.

«OBIEZIONE DI COSCIENZA» – Sebbene l’articolo 9 della 194 preveda l’esonero «dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento», non tutti gli psichiatri vogliono valutare le condizioni psichiche delle donne e certificare l’eventuale rischio nel portare avanti la gravidanza. «Alcuni psichiatri sono “obiettori”. Ci organizziamo in modo da garantire il servizio e da rispettare anche la richiesta da parte delle donne». Non è un’obiezione che si può far rientrare nell’articolo 9 della legge, è una obiezione ufficiosa, una «preferenza» che si aggiunge alle preferenze di alcuni operatori sanitari non facilmente giustificabili dalla 194.

CHE FARE? – Decidere di interrompere una gravidanza dopo una diagnosi fetale può essere una decisione difficile. Conclude Tarantino: «Per provare a ridurre le conseguenze di questa decisione, si potrebbero anticipare il più possibile le diagnosi prenatali. È diverso trovarsi a decidere a se interrompere una gravidanza a 4 mesi oppure a 6. Mantenendo così l’impianto della legge mi sembra che l’incentivazione della diagnosi precoce sia l’unica miglioria possibile». Sebbene non per tutti i casi, è già successo che la tecnologia abbia reso possibile una diagnosi in uno stadio più precoce o, addirittura, in alcuni casi abbia permesso di rilevare alcune patologie con la diagnosi genetica di preimpianto prima dell’avvio di una gravidanza.

Share this article