Le macchine da Rally sono davvero sicure?

23/07/2012 di Maghdi Abo Abia

Il mondo del rally italiano e non solo non è ancora riuscito a riprendersi dopo l’incidente avvenuto nelle prime ore del 22 luglio in occasione del rally “città di Lucca” nel quale hanno perso la vita il pilota Valerio Catelani e il suo navigatore, Daniela Bertoneri.

CHE MACCHINE SONO? – Quasi in un tentativo di esorcizzare quella che può essere la paura dell’imprevisto, da molte parti hanno iniziato ad affiorare così come fa il sole all’alba le critiche contro le vetture da rally diventate troppo “pericolose”. Il fatto che i due fossero compagni anche nella vita e non solo in pista non ha fatto altro che aumentare l’empatia nei loro confronti e nei confronti dei familiari. Su Rallymania ci si chiede più che altro com’è stato possibile che una macchina da rally possa aver preso fuoco in quella maniera. Ricordiamo che la vettura in questione è una Peugeot 207 S2000, quindi appartenente a una speciale categoria di competizioni specifica per la produzione di auto da corsa da versioni base divisa in auto da rally ed auto da turismo.

COME FA A PRENDERE FUOCO COSI’? – Più di un utente ha criticato la commistione troppo vicina tra le due tipologie di vetture, tecnicamente diverse tra loro. Al110crazy si chiede come, a 40 anni di distanza dai primi test del serbatoio di sicurezza dell’Ing. Chiti, come possa una S2000 prendere fuoco in quel modo. Qualcuno chiede meno velocità in curva, altri serbatoi vuoti, qualcuno ancora se la prende con le telecamere presenti in macchina. Alla fine però resta sempre un solo dato: la sfortuna. Finire incastrati dietro un muretto a secco con la macchina che esplode in quella maniera non è normale. Ma forse poteva essere evitata giusto l’esplosione. Il resto dipende dal caso.

 

ATTENTI – Come spiegare altrimenti l’impatto che ebbe Tommi Makinen con la sua Mitsubishi Lancer IV con una mucca? Si. Avvenne in Corsica, nel 1997. L’equipaggio è impegnato nella sua speciale quando dal nulla chi ti compare? Un bovino placido in mezzo al percorso. Che si fa? Di chi è la colpa? E stiamo parlando di un quattro volte campione del Mondo, eh. Spesso nell’automobilismo l’imprevedibile è sempre dietro l’angolo. Considerando anche la Formula Uno, per quanto siano campionati totalmente differenti, quando Olivier Panis si ruppe entrambe le gambe in Canada nel 1997 alla guida di una Ligier-Mugen perché il telaio andò in torsione dopo l’impatto con una fila di gomme di sicurezza, non si potè reclamare nulla.

L’INCIDENTE CI STA – Più che capire se le macchine sono pericolose o meno, sarà importante scoprire perché è esplosa. Lo conferma Sandro Munari, campione del Mondo nel 1973 e già pilota della Lancia tra gli anni ’70 e ’80, il quale ha confermato che l’incidente in sé ci può stare, fa parte del mestiere, ma che sono le fiamme quella a non dover essere accettate. “ai tempi in cui correvo io, i rally erano comunque molto più pericolosi, perchéle strade erano peggiori, i sistemi di sicurezza negli abitacoli quasi inesistenti e i rischi smisurati, sia per i piloti sia per i navigatori”.

BISOGNA CAPIRE PERCHE’ – ”Ai miei tempi, e parlo degli anni ’70-80 – aggiunge l’ex pilota veneto – i pericoli erano maggiori e le vetture meno predisposte in relazione ai dispositivi di sicurezza, c’erano anche meno precauzioni. L’uscita di strada rientra nella logica delle corse, la cosa inquietante sono invece le fiamme. L’incendio non deve più rappresentare un pericolo e bisogna subito individuare le cause che lo hanno provocato, dal momento che certi controlli sono divenuti obbligatori. Bisognerà capire se l’auto aveva dei problemi all’impianto, oppure qualcos’altro. Non si capisce da dove sia partito l’incendio e questo mi preoccupa, e’ un fatto inquietante”.

L’ERRORE – “Io, comunque -conclude Munari- non demonizzerei lo sport in sè, perche’ gli incidenti stradali potrebbero essere limitati, la colpa e’ sempre di qualcuno. Nel caso dell’incidente in Toscana, sarà difficile stabilire le colpe, perché il pilota e la navigatrice sono morti”. Colpa di qualcuno. I rally sono pericolosi, così come le altre gare motoristiche. Tutti ricordano com’è morto Marco Simoncelli. E’ possibile dare la colpa a qualcuno? O è stata solo una fatalità? Se Colin Edwards e Valentino Rossi avessero avuto un altro secondo di ritardo, probabilmente non sarebbe successo nulla. Altri utenti di rallymania hanno ricordato come lo sviluppo tecnologico stia riportando il rally a uno dei momenti più bui della sua storia, ovvero quando venne introdotto il “gruppo B”.

BELLE E PERICOLOSE – Sandro Munari ha parlato di errori? Eccoci. il Gruppo B è stata una categoria di autovetture da corsa introdotta dalla Fia nel 1982, il cui regolamento tecnico venne istituito per disciplinare competizioni in circuito e nei rally. Le macchine figlie di questo regolamento furono le più potenti mai costruite per una competizione sportiva. Queste vetture furono però le più pericolose mai realizzate, in quanto non tenevano la strada, vista la loro potenza.

I PILOTI AVEVANO PAURA – Queste sono le immagini di un incidente avvenuto nel 1986 in Portogallo con la Ford di Joaquim Santos che finì contro un gruppo di spettatori in quanto il pilota fu incapace di rispondere all’effetto pendolo della macchina. Timo Salonen, già Campione del mondo, confermò di aver avuto paura per la prima volta in vita sua di correre su strada, mentre Walter Röhrl su Audi sosteneva che il modo migliore per esorcizzare la paura della folla era quella di considerarla come fosse un muro.

IL MOSTRO S4 – Per capire cosa fossero diventate in pochissimi anni le vetture del Gruppo B, prendiamo a riferimento quella che è stata forse la più mostruosa di tutte, ovvero la Lancia Delta S4. Come spiega Sportclubmaggiora, il motore dalla cilindrata di 1759cc, con basamento in lega di magnesio, canne con riporto ceramico “Cermetal”, testata in lega leggera, distribuzione bialbero in testa con 4 valvole per cilindro era “aiutato” da un impianto di sovralimentazione formato da un un turbocompressore KKK modello K-27 il quale prende aria da un filtro in carbonio con elemento in carta e alimenta un compressore volumetrico Abarth “Volumex” R18, trascinato dal motore mediante cascata di ingranaggi. Agendo sulla wastegate e impostando la sovralimentazione al valore minimo (circa 1,4 bar) si ottiene una potenza di poco superiore ai 420cv a 8000rpm e una coppia massima di 44,3kgm perfettamente costante tra 5000 e 6000rpm. A 1,8 bar la potenza raggiunge i 480cv e la coppia sfiora i 50kgm, agli stessi regimi di prima; arrivando a 2 bar si ottengono 515cv e oltre 52kgm. Per brevi tratti la sovralimentazione può essere portata al valore massimo di 2,2 bar, ottenendo oltre 530cv. In queste condizioni l’auto diventa difficilmente gestibile a causa dell’aumento improvviso di coppia durante lo scambio di funzionamento dei due compressori. Un mostro incontrollabile, come si può vedere da questo video.

L’INCIDENTE – Questa fu la macchina con la quale trovarono la morte il pilota finlandese Henry Toivonen e il suo navigatore, lo statunitense Sergio Cresto. Al Tour de Corse del 1986 dopo aver dominato la parte iniziale della corsa, Toivonen uscì di strada sulla discesa del Col d’Ominanda, lungo una curva a sinistra apparentemente facile, ma che comunque confinava con un burrone molto ripido, non protetto da muretti o guard rail, e pieno di alberi. L’auto, cappottando, urtò con il fondo un fusto di un albero, e il serbatoio della benzina, trovandosi sotto i sedili, fu compresso fino alla rottura; la benzina, venendo a contatto con le parti incandescenti del turbocompressore e dei collettori di scarico, si incendiò, e con essa l’intera auto, che aveva appena finito di cappottare fermandosi sul tetto. Non ci fu scampo per Henri e per il suo navigatore Sergio Cresto. Bruno Saby e Miki Biasion, arrivati sul luogo dell’incidente in un paio di minuti, non poterono fare niente per salvare Henri e Sergio, in quanto il calore emanato dall’incendio era insopportabile anche a diversi metri di distanza.

VELOCE COME UNA FORMULA 1 – Il corpo del pilota finlandese, così come quello del suo navigatore, furono ridotti talmente male che non fu possibile ricomporli per il funerale. Della vettura rimasero solamente le molle delle sospensioni, i dischi dei freni ed il telaio a traliccio. Tra l’altro lo stesso Toivonen lamentò come la macchina fosse troppo potente per un rally come quello corso per via delle caratteristiche del terreno e del tracciato. Insomma, la macchina non stava in strada. Per dire poi di cosa stiamo parlando, in un test condotto da Toivonen in Portogallo si scoprì che la sua Lancia Delta S4 si sarebbe qualificata in sesta posizione nel Gp di Formula Uno corso in quell’anno. Insomma, una situazione difficile. Una Formula Uno prestata al rally, con tutte le implicazioni del caso.

FINE – Certe prestazioni con un mostro simile portarono molti addetti ai lavori tra cui Cesare Fiorio ed Eddie Jordan a sostenere come il pilota finlandese avrebbe potuto conoscere l’olimpo della Formula Uno, a differenza di altri del futuro come avvenne con Sebastien Loeb, ad esempio. Comunque la morte di Toivonen e Cresto portò a delle decisioni drastiche: Jean Michel Balestre, l’uomo forte della Federazione, decise di cancellare le vetture del Gruppo B. Audi e Ford ritirarono le loro vetture mentre le altre rimasero fino a fine stagione.

ATTENTI AL CASO – Tutti gli addetti ai lavori erano convinti che queste macchine andassero troppo forte, eppure vissero quattro anni per via della richiesta di spettacolo e velocità da parte degli spettatori. Che poi è anche necessario dire che non si sa ancora per quale motivo Toivonen uscì di pista, ma si sa che l’esplosione venne causata dal serbatoio il quale andò ad impattare nella carambola contro un albero, scatenando così l’esplosione. La macchina non aveva problemi, era tutto figlio di un impatto casuale, ma in questo caso rappresentò la causa scatenante per una rivoluzione che portò nel 1997 all’introduzione delle Wrc, le World Rally Car. Perché come ha detto Sandro Munari, gli incidenti possono accadere, quello che non è normale è che una macchina prenda fuoco.

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