Gli 80 euro ai pensionati quanto costano?

Le pensioni sono una delle priorità del governo guidato da Matteo Renzi, uno dei temi più spinosi per il nostro paese come è stato dimostrato anche dalla mole di interventi durante #MatteoRisponde, la diretta Facebook del presidente del consiglio dei Ministri proprio sul tema pensionistico. Sulla previdenza, ieri, il segretario del Partito Democratico ha lanciato la prima proposta ufficiale in questo senso: sarebbe allo studio l’estensione del bonus degli 80 euro anche alle pensioni minime, ovvero quelle pensioni integrate dal governo perché inferiori al reddito minimo di sussistenza fissato dalla legge.

GLI 80 EURO AI PENSIONATI QUANTO COSTANO?

Sul Corriere della Sera, ricordando che si tratta di “ipotesi allo studio”, si precisa quali potrebbero essere coperture finanziarie e costi di questo intervento.

Queste pensioni sono circa 3,5 milioni (dati 2014 del Rapporto di Itinerari previdenziali). Se il bonus fosse dato su questi trattamenti, come si dovrebbe dedurre dalle parole di Renzi, ci sarebbe una maggior spesa strutturale di 3 miliardi e mezzo l’anno. Ma i tecnici di Palazzo Chigi, dopo aver sottolineato che si tratta solo di ipotesi allo studio e che in ogni caso una eventuale misura non è per quest’anno ma per la prossima legge di Bilancio, cioè per il 2017, dicono che la spesa potrebbe essere inferiore. Se infatti gli 80 euro venissero dati a tutti i pensionati che hanno un reddito pensionistico non superiore al minimo, la platea scenderebbe a 2,3 milioni di anziani (questo perché una parte dei pensionati al minimo beneficia anche di altre prestazioni, come per esempio la reversibilità). In questo caso, quindi, la maggior spesa annuale scenderebbe a 2,3 miliardi di euro l’anno.

 

Importi di peso, comunque funzionali a dare un’ulteriore spinta alla domanda interna, che è quella che in questo momento sta spingendo l’economia italiana; la misura più celebre del governo Renzi arriverebbe dunque anche ai percettori di trattamenti previdenziali di bassa entità.

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E  non è l’unica misura su cui si sta ragionando: torna d’attualità anche la possibilità di andare in pensione anticipata: la cosiddetta flessibilità in uscita. Sembra, però, che sia necessario convincere principalmente Bruxelles.

Il premier, ha di nuovo premesso che si tratta di ipotesi allo studio e ha aggiunto che lo si vuol fare «mantenendo in pari i conti pubblici»: formula che non significa che si possa fare a costo zero ma che, considerando la maggior spesa iniziale (perché si pagherebbero più pensione) e i risparmi successivi (perché l’importo è inferiore), i conti tornerebbero. Solo che questo discorso del bilancio intertemporale, già suggerito dal presidente dell’Inps Tito Boeri, il governo non sa come farlo digerire a Bruxelles dove già temono lo smantellamento della legge Fornero.

 

 

Tuttavia, informa il Corriere, i margini sono stretti: i contributi per chi sceglie la flessibilità in uscita, e dunque la pensione anticipata, potrebbero essere calcolati con il sistema contributivo, andando in questo modo ad alleggerire il peso della manovra complessiva dell’anno prossimo (nel 2017 lo stato dovrà gestire 24 miliardi di euro). Tuttavia tutto porta a pensare che il governo dovrà scegliere: o la rimodulazione delle pensioni in uscita, o gli 80 euro alle pensioni minime.

 

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