Romano Prodi: “Siria, Barack Obama dovrà aiutare Assad”

Romano Prodi: “Siria, Barack Obama dovrà aiutare Bashar Al Assad”. Ne è convinto l‘ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Commissione Europea, che dialoga su Repubblica oggi con Eugenio Scalfari, in un colloquio (riportato, scrive il fondatore di Repubblica, “all’insaputa di Prodi”) a tutto campo su politica interna ed estera, fra il conflitto siriano e la costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Un colloquio in cui il Professore, profondo conoscitore delle dinamiche internazionali, sostiene la dura necessità per l’Occidente di rinsaldare l’asse con chi, geopoliticamente parlando, si trova dall’altra parte della barricata sul fronte siriano.

ROMANO PRODI: “SIRIA, BARACK OBAMA DOVRA’ AIUTARE ASSAD”

E’ Vladimir Putin, chiaramente, che non fa mistero del suo sostegno a Bashar Al Assad; la crisi siriana preme e genera sul continente europeo una pressione migratoria ormai difficile da gestire con serenità, sopratutto da parte della Germania e dell’opinione pubblica tedesca: gli scenari, quello europeo e quello mediorientale, sono sempre più interconnessi. Proprio per questo, sostiene Prodi, Barack Obama dovrà necessariamente mettere in conto un sostegno più strutturato all’esercito di Assad.

A me sembra molto determinante il problema dell’immigrazione.

«Certamente, sono problemi molto diversi ma producono effetti analoghi. L’opinione pubblica tedesca e la sua classe dirigente cominciano a capire che la Germania da sola non ce la fa ad affrontare temi di quella portata. Sono tuttavia mutamenti che non si manifestano immediatamente. La Germania voterà tra due anni e fino ad allora la Merkel deve tener conto dell’opinione pubblica. La crisi Volkswagen da questo punto di vista produce effetti più rapidamente perché agisce soltanto sulla Germania mentre l’immigrazione coinvolge l’Europa intera».
Da questo punto di vista la guerra in Siria è un fatto determinante e il suo andamento dipende soprattutto dal rapporto tra Usa e Russia.
«La mia sensazione è che Obama e Putin vadano verso un accordo sulla Siria. All’Assemblea dell’Onu hanno sostenuto tesi totalmente contrastanti tra loro, ma poi hanno avuto un colloquio a quattrocchi di un’ora e mezzo e qualche effetto si è già visto: Putin è d’accordo di attaccare l’Is ma si tratta d’una guerra per procura, nessuna delle due potenze invierà truppe sul terreno. Aerei sì, truppe no. Quindi quel malandato esercito di Assad va rafforzato e ben armato perché quello soltanto dispone di truppe sul terreno. Putin appoggia Assad, Obama no, ma dovrà rassegnarsi perché con i soli bombardamenti aerei l’Is non sarà battuto. La cosa singolare è che la Russia versa in acque economiche molto tempestose ma nonostante ciò Putin dimostra una forza politica ancora determinante sullo scacchiere occidentale».
È vero e la guerra in Siria chiama in causa anche la questione dell’Ucraina. Un accordo in Siria richiede contemporaneamente un accordo a Kiev.
«Di questo tema ho parlato alcuni mesi fa con Putin. Lui una soluzione l’ha già proposta ed ha intenzione di convincere Obama anche su questo punto: l’Ucraina come Stato-cuscinetto e perciò neutrale tra Est e Ovest. Quanto alle regioni russofone le proposte di Putin sono difficilmente accettabili; nel nostro incontro gli ho suggerito di studiare la soluzione che l’Italia adottò sull’Alto Adige».

La discussione sulla Siria si inserisce nel dialogo sul futuro dell’Europa, e più in generale sulla situazione globale, che per Romano Prodi è in una vera e propria “crisi d’epoca”.

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Nessuno, tranne forse Mario Draghi, dice Prodi, sembra aver caro il futuro dell’Unione, magari mettendo in conto un mutamento in senso federale dell’organizzazione del continente.

Tu pensi e ti auguri che nascano gli Stati Uniti d’Europa?
«Lo penso e me lo auguro, sì, ma penso anche che difficilmente avverrà».
Hai ragione, finora è stato così, ma potrebbe cambiare.
«Ci vorrebbe un Paese forte o un gruppo di Paesi forti che fossero decisi ad agire in quella direzione e una pubblica opinione che li aiutasse a imboccare quella strada. Ma non si vede traccia di tutto ciò».
La Germania. È il Paese più forte e più popoloso del nostro continente ed ha anche fedeli alleati che la seguono sempre.
«Ma ha anche molti avversari».
Sì, ma se volesse credo che ce la farebbe.
«Lo credo anch’io ma l’opinione pubblica tedesca e gran parte della sua classe dirigente è decisamente contraria. I tedeschi non soltanto non credono negli Stati Uniti d’Europa, ma non li vogliono. Vogliono una Germania sola. Hanno accettato l’euro perché lo considerano soprattutto la loro moneta, il marco che ha cambiato nome, tant’è vero che la Bundesbank, la Banca centrale tedesca, si oppone alla politica di Draghi che invece considera l’euro come la vera moneta europea. Draghi è uno dei pochissimi che vuole gli Stati Uniti d’Europa e che utilizza gli strumenti a sua disposizione per spingere su quella strada».
Secondo te ci sono altri personaggi autorevoli che abbiano le medesime intenzioni e dispongono di strumenti altrettanto validi?
«Non vorrei essere troppo pessimista, ma secondo me Draghi è il solo, altri non ne vedo. Forse qualche capo di governo. In Germania ci fu Kohl che aveva in mente l’Europa».
Tu l’hai conosciuto bene.
«Sì, siamo stati molto amici. Il suo motto era “preferisco una Germania europea ad un’Europa germanizzata”. E aggiungeva: “Non dimenticherò mai che mio fratello è morto in una guerra sciagurata”. Ma di personalità come quella di Kohl oggi ne vedo assai poche. Forse però qualche cosa sta cambiando a causa della crisi Volkswagen. È una crisi talmente devastante che ha messo in causa addirittura l’industrialismo tedesco».

Neppure il presidente del Consiglio Italiano Matteo Renzi starebbe spingendo poi particolarmente per un’Europa federale.

E l’Italia? Ti sembra in linea con questi problemi? Ti sembra favorevole ad un rafforzamento dell’Europa?
«La ripresa comincia a manifestarsi anche da noi. È ancora poco percepibile ma segnali di miglioramento ci sono e Renzi è molto bravo nel trasformarli in consenso. Naturalmente è una ripresa economica che non dipende soltanto dalla politica del nostro governo, molto dipende ancora una volta da Draghi. Renzi lo sa e sia pure a mezza bocca lo dice. La posizione di Renzi che non mi è chiara è il suo atteggiamento verso l’ipotesi di un’Europa federale. Quando parla delle emigrazioni sembra auspicarlo. Tu lo ritieni un segnale in quel senso?».
No, io penso che Renzi non voglia affatto gli Stati Uniti d’Europa, come del resto non li vuole nessun capo di governo europeo. Per tutti loro sarebbe un declassamento. Il caso emigrazione per l’Italia richiede un’Europa più unita su quel punto specifico, ma soltanto su quello.
«Infatti mi è sembrata molto singolare la collera di Renzi verso la Commissione europea quando, di fronte ad alcune osservazioni critiche sulla sua politica fiscale, ha respinto con irruenza che l’Europa non può comandare a casa nostra e non può incidere sulle nostre decisioni economiche. È strano che dica questo perché il “Fiscal compact” è addirittura diventato una legge italiana dopo la ratifica del nostro Parlamento ».
Questo conferma che Renzi non accetterà mai l’Europa federale.
«E perché gli altri capi di governo sono sulla stessa posizione? Solo la Germania può convertirsi e mirare a quell’obiettivo che darebbe ad essa una dominanza sull’Europa. Di fatto c’è già. Questa però non sarebbe quella Germania europeizzata che auspicava Kohl, ma una Germania al comando dell’Europa che è una situazione alquanto diversa».

 

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