Ignazio Marino, l’intervista di Concita De Gregorio e il sindaco kamikaze

Ignazio Marino ha un sacco di quaderni su cui annota tutto. Da tempo, almeno da quando è in Campidoglio. Annota ogni incontro, ogni colloquio, ogni richiesta che gli è stata fatta in questi mesi. Sono belli e colorati. E pieni di cose importanti. Così almeno  racconta Concita De Gregorio, gran penna di Repubblica, con alle spalle una poco fortunata direzione all’Unità. Di questi quadernoni la De Gregorio scrive:

Sono – nella battaglia di Roma – la sua cintura di bombe a mano. Sorride. Ammette che tutti attorno a lui ne hanno paura, «annoto ogni conversazione e in effetti ho una memoria piuttosto precisa». Trova ragionevole, di questi tempi, pensare di metterli sotto chiave: magari domani.

Insomma, il messaggio a chi volesse ostinarsi a fargli la guerra è chiaro: meglio non fargliele sganciare queste bombe. Con buona pace della figura del sindaco irreprensibile e che porta le carte in tribunale a Pignatone. Cosa che con i suoi diari non ha fatto, ancora. Come diligentemente annota la De Gregorio, dopo averli evidentemente letti: «E’ tutto scritto, in effetti. A volte nelle pagine ci sono dei biglietti attaccati con lo scotch, come negli antichi diari di scuola. Azione, reazione. Persone, circostanze. Materia per inquirenti». Materia per inquirenti.

Sinceramente non sappiamo se con questi toni e con questi accenti Marino riuscirà a rimanere incollato alla sua poltrona. Ci interessa fino ad un certo punto. Preferiremmo che il Sindaco, che fino ad oggi ha dimostrato di NON avere sia in questi anni al Campidoglio, sia in campagna elettorale, una visione, un progetto per Roma, concentrasse le sue energie sulle priorità della città.

Proprio durante l’intervista con Concita De Gregorio, Marino ritorna con la memoria ai quei giorni, quella della campagna elettorale. Giorni su cui, sia lui, sia la De Gregorio, dimostrano di avere qualche amnesia. Infatti, Marino dice di «essere stato scongiurato» per candidarsi a Sindaco di Roma. Ed è vero, c’era un pezzo di Partito Romano del Pd che lo voleva ad ogni costo candidare alle primarie. Marino dimentica, però, che in quel periodo, subito dopo il voto del 2013, Roma non era certo in cima ai suoi pensieri: il suo sogno era diventare Ministro della Sanità, o, magari Presidente del Senato.

Come ricorda chi le cose di Roma le segue da tempo, Marino presentò le firme per partecipare alle primarie del centrosinistra, all’ultimo secondo utile, tanto era poco convinto di fare il sindaco della Capitale. Concita De Gregorio, che forse poco conosce il Pd Romano, descrive la vittoria di Marino come una vittoria contro l’apparato:

 «Centomila persone hanno votato alle primarie che lui ha vinto col 55 per cento contro David Sassoli e Gentiloni, candidati rispettivamente di Franceschini e (a Roma) del dalemiano Marroni, Gentiloni di Renzi che difatti lo ha fatto ministro. In Emilia, alle ultime primarie, sono andati in tutta la regione a votare in 55 mila, per avere un termine di paragone. Ha vinto contro l’apparato: un trionfo.

In realtà, Marino si presenta alle primarie con l’appoggio di Goffredo Bettini, ideatore e motore propulsore della sua candidatura, come accadde quando Marino si presentò alle primarie del 2009, contro Bersani e Franceschini per la corsa alla segreteria del Pd.

Marino, uomo onesto e persona perbene, insomma non vinse quelle primarie contro l’apparato ma anche grazie alla macchina da guerra bettiniana e alla benevola simpatia di molti esponenti vicini a Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, che personalmente mantenne un atteggiamento super-partes.

Dopo tutto Marino alla politica non è proprio nuovo. Si avvicina a questo mondo con Massimo D’Alema durante la stagione d’oro della Fondazione Italiani Europei, e diventa senatore già nel 2006. Nonostante questo, Marino riesce comunque a vestire l’abito del candidato “civico”, portando avanti una campagna elettorale intelligente, senza mai legare il proprio nome formalmente al Pd, con simboli diversi da quelli del Partito, e con uno slogan – perfetto – per la situazione “Daje” e Non è politica è Roma“.

In questi giorni alcuni militanti e alcuni media, anche con l’ausilio dei social network, stanno cercando di accreditare una “narrazione” per la quale Marino sarebbe il sindaco voluto e sostenuto dalla “gente comune”, dai “cittadini”, contro i politici “cattivi”, “gli impiccioni romani” e il cattivo supremo, Matteo Renzi. È una narrazione che non rappresenta la realtà. Se non fosse stato per lo scoppio di Mafia Capitale a dicembre Marino sarebbe stato probabilmente già travolto. Dal suo partito, in primis. Ma soprattutto dai cittadini scontenti della sua amministrazione. Bastava entrare in un bar qualsiasi della Capitale per capire come Marino non fosse stato in grado di interpretare le priorità dei cittadini della Capitale. Dopo 5  disastrosi anni  di amministrazione di Gianni Alemanno, le aspettative su Marino e la sua giunta erano altissime. Sono andate deluse in pochi mesi, purtroppo.

Marino, tornando all’intervista con la De Gregorio, scarica sulle spalle altrui anche la scelta della sua Giunta, dicendo che – guarda caso – proprio i due assessori finiti nei guai per Mafia Capitale, gli sono stati in qualche modo imposti. Si legge su Repubblica di oggi

Il partito – l’allora commissario cittadino Eugenio Patanè, il segretario regionale Gasbarra – gli ha imposto, mostrano i quaderni, almeno due nomi per la giunta.
Giunta che lui aveva annunciato tutta di tecnici. I due nomi obbligatori erano Ozzimo e Coratti, entrambi coinvolti nell’inchiesta su Mafia Capitale.

Più che un’intervista una dichiarazione di guerra. A tutti: al Partito, al Governo, a Matteo Renzi. Una chiusura verso qualsiasi richiesta, qualsiasi dialogo. Ancora ieri sera, alla festa dell’Unità di Roma, Lorenzo Guerini, sembrava – anche a dispetto dei messaggi neanche tanto velati che arrivano da Palazzo Chigi – cercare una strada comune, un dialogo, un terreno di confronto, magari tramite un maxi rimpasto : «Va detto – ha chiarito Guerini che, rispetto ai comportamenti criminosi, Marino è altro, Marino è stato un baluardo della legalità. Marino è ed è stato questo e, da questo punto di vista il Pd non può che essere al suo fianco. Altro discorso è come implementare il lavoro della giunta».

La risposta è arrivata oggi – a mezzo Repubblica – dal sindaco kamikaze, asserragliato nel suo palazzo, con i suoi quadernoni, un manipolo di fedeli, e la sua cocciutaggine.

Ma governare Roma da soli, senza un partito, senza un rapporto con le categorie, senza un rapporto con i cittadini, non una cosa possibile. Neanche per il sindaco kamikaze.

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