Le meteore della politica italiana: da Mariotto a Oscar

08/10/2014 di Boris Sollazzo

Un tempo non c’erano i social a mettere i riflettori su chi li avrebbe visti spegnere in fretta. Non c’erano Twitter a temerli, Facebook a esaltarli, Instagram e Vine a mostrarceli nelle loro imprese. Un tempo le meteore si alzavano e poi crollavano a terra sulle pagine dei giornali, in consultazioni popolari, non di rado in piazza, spesso in corridoi chiamati Transatlantici. Alle Sentinelle in piedi come a Corrado Passera, prossimi candidati al ruolo di Supernova che potrebbe spegnersi prima che noi la vediamo brillare, ricordiamo che prima di loro, a bruciarsi in men che non si dica sono stati in tanti.

Gianfranco Mascia

1. Il Popolo Viola. Riassumibile nel vano presenzialismo antiberlusconiano di Gianfranco Mascia, che ora viene al massimo ricordato per qualche apparizione nei video di Gazebo o sul blog che ha su Il Fatto quotidiano. Velleitari, ossessionati da Silvio, intercettatori di malcontento, capaci di perdere, tra piazze e PalaSharp (laddove si sono fatti coinvolgere anche pezzi da 90 come Umberto Eco e Roberto Saviano, ma dall’antenato Libertà e Giustizia, con i viola a partecipare), consensi caduchi come le foglie in autunno. Di solito servono a vip di sinistra per lavarsi la coscienza, a registi per fare un bel film (si pensi al documentario Bandiera viola di Claudio Lazzaro, ottimo: di sicuro il miglior prodotto di quell’aspirante rivoluzione), alla borghesia benpensante e benestante per ricordare gli anni delle manifestazioni e tornare alla propria gioventù liceale e universitaria. Credono ancora di esistere.

2. I Girotondi. “Con questa classe dirigente non vinceremo mai!“. Piazza Navona, Nanni Moretti. Come sa lui esprimere la malinconia frustrata e autoironica della sinistra radical chic, nessuno mai. Ma non era un film, era la realtà. Quella frase diventa un mantra, come il geniale e quello sì cinematografico, “D’Alema dì qualcosa di sinistra, almeno dì qualcosa!”. Senza neanche accorgeresene, forse, il geniale autore di Palombella Rossa e tanti altri capolavori, si ritrova a capo di un movimento entusiasta e che ha dismesso l’eskimo per giacche di velluto, camicie sportive e, ovviamente, fiumi di antiberlusconismo. Arrivano a San Giovanni, portandosi dietro un milione e mezzo di persone. Sembra l’inizio del cambiamento, è la fine di tutto. Nanni torna al cinema, dirigendo festival e film, i manifestanti tornano a casa, rimane solo Pancho Pardi, la cui istantanea è un perfetto riassunto di un movimento buono solo a riempire le pagine di MicroMega e a far diventare lui senatore.

Franca Rame

3. Scelta Civica. Mario Monti, il Messia. Mario Monti, il grande sconfitto. Mario Monti chi? Un partito nato da un premierato che era un commissariamento, un fallimento elettorale clamoroso, un’accozzaglia moderata in cui, dal cagnolino dalla Bignardi alle alleanze, si è scritto il manuale “tutto ciò che si può sbagliare in una campagna elettorale, buttando via anni di reputazione faticosamente ottenuta all’estero“. Ha però permesso alla carneade Stefania Giannini, rettore di provincia, di divenire Ministro dell’Istruzione. Insomma, ha fatto solo danni.

4. Fare Futuro, Futuro e Libertà. O meglio, la Fini di tutto. Italo Bocchino. Basterebbero queste due parole, per riassumere il lungo addio del Gianfranco (Alleanza) Nazionale, con tanto di “che fai mi cacci?” a Berlusconi, la speranza di destra e soprattutto sinistra in un leader nuovo tra i conservatori, le sue giravolte infinite tra idee passate e speranze future. Dopo aver rinnegato tutti e tutto, dopo la macchina del fango in cucina, dopo scelte politiche demenziali è sparito. Tornando all’Eur, qualche settimana fa, a cercare una nuova giovinezza. Non si sa bene come sia andata, ma lo spot in cui batte un rigore rimarrà nella storia. Del trash.

5. Lista Tsipras & Friends. Antonio Ingroia. Lo sappiamo, quella era Rivoluzione Civile. Ma nella sinistra radicale, si sa, chi rompe non paga ma i cocci sono sempre i suoi. Dove un ex pm divide, c’è sempre un ex comunista che cerca di riunire. Da quelle parti 1+1+1 fa 0,5. Dal Bertinotti che faceva il 9% alle Europee si è passati al comico congresso Vendola-Ferrero e al frazionamento ossessivo della falce e martello. Ora le liste Arcobaleno durano lo spazio di un’elezione, al massimo passata con uno 0,1% rispetto allo sbarramento, ma spesso persa. In attesa della prossima scissione o di cadute, di stile e non solo, come quelle legate a Spinelli e Maltese. Stanno con gli operai ma vogliono i candidati dottori. E infatti in periferia la x su di loro non la mette nessuno. Al centro di Roma, però lo fanno in tanti.

Tsipras bologna

6. Mariotto Segni. Il re dei referendum. Il maggioritario lo portò lui con le ultime consultazioni plebiscitarie della storia della Repubblica, 21 anni fa. Lui fece crollare definitivamente la Prima e inaugurò la Seconda. Lui, con quei 90% nei quesiti da lui proposti e sostenuti, sembrava il nuovo Salvatore della politica italiana. Aveva l’Italia ai piedi. Ma lui li aveva d’argilla e nel giro di pochissimo, complice la sua incapacità strategica, il carisma degno di Topo Gigio e lo tsunami Berlusconi, scomparve. Non si sa se fa più ridere o tenerezza: Alleanza Democratica, il Patto Segni, il ritorno per il “no” al referendum costituzionale voluto da Berlusconi, la guerra contro il Porcellum sono tappe soavi di un declino malin-comico.

7. Lista Pro Life. Una lista contro l’aborto. A capo, Giuliano Ferrara. Un fallimento clamoroso: tutto ciò che costituisce l’elitario successo del guru del giornalismo di centrodestra, in politica è stato coperto da un tonitruante disinteresse. Le ha provate tutte, il nostro, istrione e cialtronesco come pochi quando vuole. Ma la politica, come dimostra anche la prima epopea berlusconiana che lo coinvolse addirittura come ministro, non fa per lui. Non convinse neanche la Cei, sei anni fa.
Chi sostiene il giusto diritto ad abortire ancora lo ringrazia. Se la 194 non è stata toccata, lo dobbiamo, e molto, all’Elefantino. E forse, conoscendone l’intelligenza, era proprio quello il vero obiettivo del conduttore dei cult televisivi del passato Lezioni d’amore e L’istruttoria.

Oscar Giannino michele boldrin

8. Oscar Giannino. Fece paura a tutti con la lista dal nome più brutto degli ultimi sette decenni. Fare per fermare il declino, a metà tra uno scioglilingua e un gargarismo. La sua era anche una destra interessante, disincantata, con proposte economiche intelligenti e moderne, senza ideologie. A un certo punto molti pensavano che potesse essere decisivo nella lotta per il Senato alle ultime politiche. Poi si scoprì la bugia sulla sua laurea, sulla sua partecipazione allo Zecchino d’Oro, ci è mancato poco che ci dicessero che pure la sua fantasiosa barba potesse essere posticcia. In politica non si deve essere sinceri. Anzi, più le spari grosse, più voti prendi. Non nel caso di Oscar: le sue bugie erano troppo innocenti, probabilmente. Alla fine l’unico declino che non è riuscito a fermare è stato il suo.

9. Il Movimento Arancione. Nato e morto a Napoli, sempre grazie a Luigi De Magistris, Masaniello del terzo millennio. Quando divenne sindaco Napoli si tinse color autobus, poi il nulla. Giggino si scordò anche il significato del vocabolo “arancione”, figuriamoci l’idea del suo movimento. Ora, con la sua estromissione targata legge Severino, è rimasto un sito che ancora chiede fondi. Lui è convinto di una prossima rielezione, pare, o forse serve raccogliere fondi per il collegio di difesa dell’ex Pm: va detto, le inchieste di cui è vittima sembrano infondate come quelle che faceva lui quando aveva su la toga. Almeno poteva far costruire il nuovo San Paolo, ma neanche quello gli è riuscito.

10. Se non ora quando. Già, quando? Noto come un movimento femminista formato per la maggior parte da borghesissime artiste di sinistra, squisitamente lontane dalle esigenze delle donne d’oggi, privilegiate sul lavoro e non certo massacrate per una maternità o mobbizzate per la loro identità di genere, hanno dimostrato di saper organizzare una bella manifestazione – dove, però, ironia della sorte, fu Suor Eugenia la vera star – e di sapersi distinguere per uno sbiadito e improbabile posizionamento sui diritti delle donne. Se non ora quando, quindi, è una domanda legittima. Almeno sul quando, perché ora, di sicuro, quel movimento femminista si ritrova più inascoltato della particella di sodio protagonista dello spot di una famosa acqua minerale.
Però sono dolcissime, ricordano gli studenti che manifestavano con e per gli operai, senza aver visto mai, neanche in gita, una fabbrica.

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

 

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