Gli uffici di collocamento che non servono più

Se ne contano 553 sparsi su tutto il territorio nazionale. Impiegano circa 10mila persone. E dovrebbero aiutare centinaia di migliaia di disoccupati o giovani diplomati o laureati a trovare lavoro. Ma in realtà non collocano nessuno. Si tratta dei centri per gli impiego, ex uffici di collocamento, di cui si è occupato un articolo a firma di Antonio Borrelli pubblicato stamane sul Giornale.

 

Spagna, persone in fila davanti ad un ufficio di collocamento a Madrid

 

CENTRI PER L’IMPIEGO CHE NON C’È – Stando a quanto riportato dal quotidiano di via Negri solo il 3% di coloro che che ne fanno richiesta trovano una possibilità nei centri per l’impiego, un tasso in linea, o probabilmente più basso, del risultato che potrebbe ottenere singolarmente ognuno degli iscritti se un lavoro provasse a cercarlo da solo dal pc di casa. Nel dettaglio si stimano circa 2 milioni di persone che si rivolgono ogni anno all’ex ufficio di collocamento ed altre 600mila che vi si recano per ottenere supporto in servizi amministrativi. La situazione sembra non cambiare in lungo e in largo per la penisola, da Milano a Bari, così come sembra non cambiare anche il tipo di platea che chiede sostegno: giovani neolaureati (inoccupati), meno giovani (dipoccupati), ventenni e trentenni e uomini e donne con i più disparati titoli di studio. In sostanza, nati con la riforma del 1997, i centri per l’impiego non rappresentano affatto risposta adeguata al 43% di disoccupazione giovanile perché non ci sarebbe, spiega il Giornale, incontro tra domanda e offerta, ma solo un eccesso di domanda.

DISOCCUPATI AUTENTICI E MENO AUTENTICI – Un caso emblematico sarebbe quello di napoli dove alle 7 del mattino, come scrive Borrelli, non è raro incontrare operai con indumenti sporchi di pittura che non sono disoccupati, ma operai che lavorano in nero. Sembrano aver fretta e si limitano a chiedere un certificato di iscrizione da consegnare al mastro per evntuali sgravi contributivi. Poi, subito dopo, vanno via, verso il cantiere. Più tardi arrivano invece i disoccupati, quelli autentici, che cominciano a spulciare le bacheche e si avvicinano agli sportelli per ottenere informazioni. Insieme alle informazioni , però, ottengono anche una buona dosa di sfiducia. «Non ci sperare», consiglia qualcuno. Impiegati compresi.

(Fonte foto: archivio laPresse. Credit: Andres Kudacki)

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