Perché l’uso dell’espressione «figlio illegittimo» è sbagliato e offensivo

20/06/2014 di Mazzetta

Il caso Gambirasio ha inondato le pagine della cronaca con la storia dei gemelli che hanno scoperto di avere un padre biologico diverso da quello che hanno sempre considerato il loro. L’indiziato del momento è quindi stato indicato con l’espressione «figlio illegittimo» da tutte le fonti e in tutti i dibattiti, commettendo però in tutta evidenza un errore che sarebbe opportuno emendare, dismettendo l’uso di un’espressione datata e degradante.

L’espressione è figlia di un tempo nel quale l’istituto della «famiglia legittima» era posto a tutela di patrimoni e moralità, architrave di una concezione della famiglia che secondo la concezione cattolica poteva esistere solo in costanza di matrimonio. Una famiglia che poteva essere difesa anche con il delitto, il codice prevedeva infatti robuste attenuanti per il delitto d’onore, che fondamentalmente serviva a difendere il vincolo matrimoniale uccidendo gli amanti che lo mettevano in pericolo.

L’espressione «figlio illegittimo» però è sparita dal Codice Civile nel 1975, quando al figlio «legittimo» nato in costanza di matrimonio o riconosciuto, si è venuto ad opporre il figlio «naturale». La riforma spazzò via anche la definizione di «figlio di N.N.» con la quale anche nei documenti che lo richiedevano s’indicava la paternità di chi non la conosceva o di chi non era stato riconosciuto. Definizione alquanto offensiva, non meno di quella di figlio illegittimo, che tuttavia continuò a permanere nell’uso e nelle cronache in contrapposizione al «figlio legittimo» che rimaneva nei codici. Nel 2006 una pronuncia della Corte Costituzionale che ha ritenuto illegittimo l’articolo 274 del Codice Civile fece poi ragione di un altro grave pregiudizio posto in capo ai figli nati fuori dal matrimonio, che un tempo potevano ottenere il riconoscimento dai genitori biologici solo con il loro consenso. Oggi sono invece titolari del diritto a veder riconosciuta la loro paternità, diritto che tra l’altro costituisce in capo al genitore biologico l’obbligo alimentare, che vale anche retroattivamente.

La riforma fu culturalmente un deciso passo avanti verso la civiltà, ma purtroppo da questo punto di vista non riuscì a incidere sull’uso comune dell’espressione che ancora oggi, come possiamo osservare usando un motore di ricerca, è usata da tutti senza distinzione e con grande generosità. Poi nel 2012 è stata licenziata un’altra riforma, che ha eliminato anche il «figlio legittimo», oggi per il codice siamo tutti «figli» con uguali diritti, i legittimi come i naturali e gli adottivi, non esistono più un solo appiglio per giustificare l’uso di «figlio illegittimo».

Nel discorso pubblico continuiamo a usare l’espressione «figlio illegittimo», che è sbagliata nel merito e profondamente offensiva e dovrebbe esserlo anche agli occhi di quanti sono insofferenti al politically correct. Lo facciamo per inerzia, l’ho fatto anch’io, ma anche per insensibilità e per una persistente arretratezza culturale, tanto che ieri mi è capitato addirittura di sentir definire il famoso indiziato con l’espressione: «figlio della colpa» ( ieri sera durante una puntata della trasmissione Matrix, su Canale 5), espressione pelosa d’origine cattolica che si sperava dimenticata. Sarebbe  ora di smetterla, nessun essere umano nasce oggi con un handicap giuridico nel nostro paese, nessun figlio è «illegittimo», non lo è per la legge e non lo è nemmeno per la morale, che ha smesso da tempo di considerare bastardi i figli nati al di fuori del matrimonio o dalla paternità incerta. Bisogna quindi che i media e la comunità parlante facciano, in ritardo,  mente locale e qualche sforzo per eliminare dal discorso pubblico l’odiosa espressione, retaggio di un tempo e di una morale che ci dovremmo essere gettati alle spalle da decenni.

 

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