Le favole sull’Unione Europea

23/05/2014 di Andrea Mollica

L’Unione Europea? Un mostro burocratico, che impone le sue regole agli Stati in modo dittatoriale, con un processo decisionale oscuro, e con una moneta comune, l’euro, che ha reso tutto più caro oppure ha distrutto le nostre economie, come spesso è stato raccontato in questi ultimi mesi di campagna elettorale per le elezioni europee. Miti perlopiù infondati, come dimostra un’analisi puntuali dei fatti relativi a queste credenze diffuse tra le popolazioni degli stati membri dell’UE.

US-LIFESTYLE-FOOD-FRUITS AND VEGETABLESIL CETRIOLO E LA BUROCRAZIA DELL’UE – L’Unione Europea è un mostro di burocrazia, che impone ai suoi cittadini regole assurde che complicano la vita invece di occuparsi dei veri problemi della gente. Un concetto sentito chissà quante volte, radicato nella fetta non piccola di popolazione che è sempre stata opposta all’integrazione dell’Europa, e che si è via via diffuso in questi anni di crisi. Uno degli esempi più citati riguarda il regolamento (CEE) n. 1677/88 della Commissione che stabilisce norme di qualità per i cetrioli. All’epoca l’UE non era ancora nata, ma c’erano tre diverse comunità – Comunità economica europea, Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio e l’Euratom relativa all’energia atomica – che erano governate da un unico organismo di governo, la Commissione. Questo regolamento è diventato molto citato visto che disciplinava la lunghezza dei cetrioli. Ecco un paio di passaggi in merito presi dal comma III del regolamento, disposizioni relative alla calibrazione.

La calibrazione è determinata dal peso unitario.

i) Il peso minimo dei cetrioli coltivati in pieno campo è stabilito in 180 grammi.
Il peso minimo dei cetrioli coltivati in coltura protetta è stabilito in 250 grammi.

ii) I cetrioli coltivati in coltura protetta delle categorie Extra e I devono inoltre possedere:
– una lunghezza minima di 30 cm per quelli di peso pari a 500 grammi almeno,
– una lunghezza minima di 25 cm per quelli con peso compreso tra 250 e 500 grammi.

Come rimarca il fact checking di Die Zeit, questo regolamento è stato sì elaborato dalla Commissione, ma su iniziativa di diversi stati membri. Le disposizioni sul mercato agricolo sono competenza tradizionale dell’Europa unita, e furono i governo nazionali dell’epoca a spingere perché ci fosse un regolamento che chiarisse quali tipi di cetriolo potessero essere commercializzati. Questo regolamento è stato in realtà superato nel 2009, anche se in questi anni ci sono stati altri famosi esempi di eccesso burocratico. Uno di esse, il divieto di tenere l’olio di oliva nella tradizionale oliera nei ristoranti fu proposto e poi ritirato dopo le proteste, anche se anche in questo caso l’idea era partita dai governi.

 

LA DITTATURA UE – L’ordine di Bruxelles sulla lunghezza dei cetrioli in realtà non esiste perché l’UE non può dettare nulla ai suoi 28 stati membri senza che essi stessi siano d’accordo, quantomeno in maggioranza. All’epoca dell’introduzione del regolamento (CEE) n. 1677/88 le istituzioni comunitarie funzionavano in modo diverso, e prevedevano l’unanimità degli stati in quasi tutti gli ambiti di competenza della Cee, della Ceca e dell’Euratom. Con i successivi trattati che hanno dato origine e poi sviluppato l’Unione europea sono state introdotte maggioranze qualificate in molti più ambiti, così come l’Ue ha acquisito nuove competenze. A chi però crede nella dittatura UE va però rimarcato come essa semplicemente non esiste. Ogni decisione di tipo legislativo, ovvero regolamenti o direttive, viene presa con l’accordo degli Stati e con l’intesa dei rappresentanti eletti dai cittadini UE, ovvero i parlamentari europei. Bruxelles, ovvero la Commissione, ha solo potere di proporre una direttiva oppure un regolamento, ma essa diventa norma valida anche per gli stati membri, e di conseguenza per la sua popolazione, solo con il consenso di Consiglio e Europarlamento. Il trattato di Lisbona ha reso più fluido il processo di adozione dei testi normativi, prevedendo una doppia maggioranza, ovvero un atto legislativo viene approvato quando raggiunge il 55% dei voti all’interno del Consiglio dell’UE che a sua volta deve valere il 65% della popolazione. Ogni stato vale un numero di voti in seno al Consiglio ponderato per la sua popolazione. L’Italia ne ha 29 come la Germania e la Francia, lo stato che ne ha meno è invece Malta con soli 3. Il rapporto tra voti e popolazione effettiva favorisce in realtà i paesi più piccolo, e con il nuovo sistema di doppia maggioranza ci sarà un riequilibrio in favore delle nazioni più grosse.

FRANCE-EU-PARLIAMENT

L’UE E LA TRASPARENZA – L’accusa di essere un mostro burocratico che schiaccia le vite dei cittadini senza alcuna o quasi legittimazione democratica è un tema ricorrente degli attacchi delle forze populiste. Le istituzioni comunitarie, dominate dai “poteri forti”, sono spesso accusate di prendere decisioni in modo oscuro. Una critica per lo più basata su punti senza fondamento, anche se esiste un deficit democratico nelle istituzioni UE, a cui però è stata data una risposta in questi anni, con modifiche ai Trattati che hanno dato più potere ai cittadini e al Parlamento eletto col nostro voto. Col Trattato di Lisbona è stata introdotta ad esempio l’iniziativa dei cittadini europei. Essa è una sorta di legge di iniziativa popolare da presentare alla Commissione previa la raccolta di un milione di firme, con un numero minimo di sottoscrizioni diverse per almeno 7 paesi, perchè essa la proponga nelle sue linee guide a Consiglio e Parlamento dell’UE, i due organismi comunitari dotati di potere normativo. Il diritto di iniziativa dei cittadini europei è stato utilizzato con grande efficacia l’anno scorso, quando in particolare dalla Germania e dall’Austria è partita la raccolta firme contro la direttiva che voleva privatizzare la gestione dei servizi idrici. L’iniziativa ha portato ad un ripensamento della proposta della Commissione. Il Trattato di Lisbona ha introdotto altre modifiche, che hanno rafforzato il ruolo del Parlamento, così da valorizzare l’unica istituzione UE eletta col voto dei suoi cittadini. Il fondamentale peso del Consiglio Europeo, l’organismo che riunisce i capi di stato e di governo dei paesi membri, rimarca come le decisioni più rilevanti dell’UE non sia prese da forze oscure, bensì dai governi democraticamente eletti.

A huge symbol of the is placed in front

IL CARO EURO E IL FISCAL COMPACT – Dal 2008 fino ad oggi la crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti ha scosso l’Europa tramutandosi nella crisi del debito sovrano, che ha colpito diversi paesi della periferia dell’unione monetaria. La valuta comune, l’euro, è tornata sul banco degli imputati. Uno dei miti più diffusi sull’euro è il forte rincaro del costo della vita che l’introduzione di questa moneta avrebbe provocato. Come mostra questo grafico, elaborato con il dato finale dell’inflazione degli ultimi 20 anni, la moneta comune dell’UE, introdotta nel 2002, non ha determinato nessuna crescita dei prezzi. Al contrario, è stata registrata una graduale discesa, accentuatasi in questi anni di difficoltà economiche. Le sensazioni iniziali avvertite da larghi strati della popolazione, italiana così come di altri paesi, erano stati causati da rincari anche significativi in settori specifici, come i beni alimentari, energetici oppure i prezzi delle abitazioni, che erano provocate da dinamiche specifiche. L’euro ha favorito, grazie al suo relativo apprezzamento nel corso degli anni – la sua quotazione a inizio 2002 sul dollaro si collocava a 0,89, ora invece si assesta a 1,37 – la discesa dei beni importati, per esempio quelli tecnologici come TV, computer o tablet.

Un altro mito che riguarda l’euro e la crisi è il Fiscal Compact. Nel nostro paese si è diffusa la convinzione, più volte reiterata da politici ed esperti, di diversi campi, che esso imponga tagli al debito pubblico da 50 miliardi di euro l’anno per i prossimi 20. Questo dato, diffusosi in modo virale, si potrebbe dire, viene desunto dalla Debt brake rule che impone una riduzione di un ventesimo del debito pubblico fino ad arrivare alla quota del 60% per i paesi che superano questo paramentro. Siccome il debito pubblico italiano era collocato attorno ai 2000 miliardi quando è stato effettuato il calcolo del costo del Fiscal Compact – l’autore originario è rimasto sconosciuto – e riportarlo al 60% significava dimezzarlo, quindi mille miliardi, il taglio da fare sarebbe per l’appunto un ventesimo di questa somma, i famosi 50 miliardi all’anno. Questo calcolo è errato per diversi motivi. Il primo è che il Fiscal Compact impone una riduzione del debito relativa al Pil nominale, ovvero il valore aggiunto creato dall’economia più l’inflazione, e non rispetto al valore totale del debito in numeri assoluti. In mancanza del dato relativo alla ricchezza nazionale nominale non è possibile stimarne con precisione il costo. Una crescita del Pil nominale potrebbe teoricamente portare ad un riduzione del rapporto tra debito e Pil nominale senza alcun taglio. L’ipotesi che questo scenario si realizzi è piuttosto difficile, anche in ragione della bassa crescita e della bassa inflazione che attanagliano l’eurozona. Inoltre, il Fiscal Compact impone una riduzione della media di un ventesimo del debito pubblico, che dovrà essere dettata dalla Commissione europea. L’organismo di governo dell’UE però, come spiega l’articolo 2 del trattato sui bilanci europei, dovrà tenere in considerazione molti fattori, come sostenibilità dei conti pubblici e così via, per segnalare l’infrazione del Fiscal Compact. La decisione finale spetterà poi al Consiglio Europeo, e di conseguenza la decisione sull’eventuale sanzione da violazione del trattato diventerà pienamente politica. Senza contare che lo stesso Fiscal Compact scatta solo se uno stato è fuori dalla procedura di deficit eccessivo, un altro meccanismo che renderà ancora più lenta e farraginosa l’eventuale applicazione di questo trattato.

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