«Vi racconto com’è veder giustiziare l’uomo che ami»

27/02/2014 di Redazione

Il giorno prima che Johnathan morisse c’era stata una tempesta di neve in Texas. L’aria era così fredda che potevi vedere il tuo respiro e dai rami degli alberi e dai detti pendevano i ghiaccioli. Le strade erano così scivolose che le scuole erano state chiuse. Quella tempesta è il motivo per il quale i documenti del nostro matrimonio non sono mai stati firmati. Johnathan mi aveva chiesto di sposarlo sei mesi prima, e sono qualche giorno dopo aver saputo la data della sua esecuzione si era fatto tatuare il mio nome sulle nocche della mano sinistra.

«GUIDAMMO PER 300 MIGLIA PER VEDERLO UN’ULTIMA VOLTA» – Comincia così il racconto di Lily Fury su Salon che, a New York City, sta ultimando il suo libro di memorie. Lily è stata la fidanzata di Johnathan, un detenuto condannato alla pena capitale in un carcere del Texas e, nel suo racconto, descrive forse uno degli avvenimenti più strazianti della sua esistenza: l’esecuzione dell’uomo che amava.

Lily con Johnathan (Foto via: Salon)
Lily con Johnathan (Foto via: Salon)

Quando le strade tornarono percorribili, mi sono infilata in macchina con il padre di Johnathan e la sua migliore amica, Devon, e abbiamo guidato per 300 miglia per vederlo un’ultima volta. Alloggiavamo in un hotel poco distante dal luogo dove lo avevano portato. Ci siamo sistemati nelle nostre stanze e poi abbiamo iniziato a bere per cercare di dimenticare il fatto che l’uomo a cui volevamo bene sarebbe stato messo a morte la notte seguente. Io e Devon non riuscivamo a dormire, continuavamo a chiederci: avrà paura? Avrà freddo? Riuscirà a dormire?

«JOHNATHAN NON MI HA MAI GIUDICATA» – Poi, la storia del loro primo incontro:

Le ho raccontato di come ho conosciuto Johnathan. Gli avevo scritto perché faceva parte di un programma dei servizi sociali che prevedeva di inviare materiale ai detenuti. Quella prima lettera ha dato il via a una corrispondenza lunga un anno che mi ha portata fino in Texas a bordo di un autobus della Greyhound. La sua famiglia mi aveva accolta a braccia aperte, suo padre mi preparava una cioccolata calda ogni mattina. È successo tutto così in fretta che non ho fatto in tempo a pensare a come sarebbe stata destinata a finire. A Johnathan raccontavo ogni cosa: la mia adolescenza rubata dagli abusi che ho subito, la mia dipendenza dall’eroina iniziata a sedici anni. Lui non mi ha mai giudicata e mi incoraggiava a non buttare via la mia vita.

 

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«ERA COLPEVOLE, MA NON CREDO MERITASSE DI MORIRE» – E Lily racconta anche la storia di Johnatan e del delitto da lui commesso:

Era poco più di un ragazzo. Mi ha raccontato che quella notte stava aiutando la sua fidanzata a scappare da suo padre. Sono stati fermati da un poliziotto, che in quel momento era fuori servizio. Quando l’agente gli ha puntato la pistola contro, Johnathan ha estratto la sua arma e gli ha sparato più volte. Mi ha detto che ha agito d’istinto, e che tutto è successo in pochi secondi. Ha confessato poco dopo l’arresto. Era colpevole, ma non penso che Johnathan dovesse morire per questo.

«L’HO SENTITO MORIRE» – Dopo la condanna e un lungo periodi di carcere, per Johnathan arriva il giorno dell’esecuzione della sentenza: è il momento del suo ultimo incontro con Lily:

Il sorriso di Johnathan era bellissimo. Per l’ultima volta abbiamo potuto stringerci le mani e baciarci. Le sue mani erano calde e grandi. Per un momento ho dimenticato il cancello, le guardie. In quel momento eravamo solo due persone, tremendamente innamorate.  […] Poi mi ha guardata e mi ha detto: ‘Stai lontana dall’eroina’. E rivolgendosi alla guardia: ‘Ok, sono pronto’. Mi sono sentita svenire. Prima c’è stata l’anestesia. Ha detto qualcosa sul fatto che non sentiva più la bocca. Poi la prima delle due iniezioni letali: abbiamo sentito un respiro pesante. Infine la seconda, quella che ferma il cuore. È durata dieci minuti, un’eternità. Ho sentito un’ondata di energia attraversarmi, l’ho sentito morire.

***

Il decesso  stato confermato alle 6 e 21 minuti della sera. Gli hanno steso un lenzuolo sopra la testa. Io e Devon stavamo in macchina. Avevo vent’anni e davanti ai miei occhi avevo appena visto morire l’uomo che amavo. […]  Molte volte sento di non aver più la forza di andare avanti, ma lo faccio, per quel ragazzo con una pistola in pugno e un’altra puntata alla sua testa. Per la ragazza piena di cicatrici. E per entrambi, che abbiamo trovato la speranza quando sembrava impossibile, l’amore dopo una vita di errori.

 

(Photocredit copertina: Getty Images, immagine di repertorio)

 

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