Twitter permette le molestie online, basta non taggare

Categorie: Attualità

Il social è l'unica piattaforma online che non ha rimosso Alex Jones, mettendosi di fatto dalla parte di chi su internet condivide messaggi di odio.

Alex Jones in un certo senso ha ridato speranza ad internet. Pur essendo uno dei più grandi diffusori di teorie complottiate e discorsi di incitamento all’odio nel web, ha permesso a varie piattaforme di prendere una posizione netta. Facebook e Apple hanno rimosso molti dei suoi contenuti: Twitter invece no.  Cosi facendo, prende di fatto le parti di chi compie molestie online, tanto basta «non taggare».



Twitter e Alex Jones, cosa hanno fatto gli altri

Martedì 7 agosto la presenza online e di Alex Jones, c0nduttore radiofonico e inventore dei siti web Infowars e Prison Planet, noti per diffondere bufale e fake news, si è notevolmente ridotta. YouTube ha inizialmente rimosso alcuni suoi video per poi chiudergli del tutto l’account – nonostante i 2,4 milioni di iscritti e miliardi di visualizzazioni – ; Facebook ha bloccato per 90 giorni il suo profilo e delle pagine a lui collegate perché «ospitavano contenuti che incitavano alla violenza e usavano un ‘linguaggio disumanizzante’ per descrivere musulmani, immigrati, transgender»; Similmente a Spotify, anche Apple ha fatto la sua parte, rimuovendo cinque dei sei podcast, con una ragione molto semplice: «Apple non tollera l’hate speech».

LEGGI ANCHE> Attentato a Boston: il complotto è servito

Twitter e Alex Jones, quando la garanzia della libertà di espressione si spinge troppo in là

Sembrava scontato allora che anche Twitter prendesse posizione contro il conduttore radiofonico statunitense: invece no. Con un tweet, l’account ufficiale @TwitterSafety ha specificato che se i discorsi “scomodi” non sono diretti esplicitamente verso qualcuno, che tradotto significa “non viene taggato nessuno nel post incrimato”, allora tutto è permesso. Almeno finchè non viola esplicitamente le regole di utilizzo del social.



 

«I tweet di Alex Jones e InfoWars non stanno attualmente violando il nostro regolamento» recita il post che avvia la discussione sulla decisione presa da Twitter. Il social ribadisce di credere nel proprio ruolo a servizio della conversazione pubblica e libera e specifica che il regolamento di utilizzo è «un documento vivo», e che quindi «con il tempo, così come cambia il comportamento sulle nostre piattaforme, anche le nostre regole si evolvono per venire incontro a nuove questioni». Sorge spontaneo chiedersi allora, come si sono evolute le regole nel caso di un complottista razzista che incita all’odio?

«Noi diamo il benvenuto a chiunque decisa di usare il nostro servizio per esprimersi – continua il post –  A volte, questa libertà di espressione può diventare offensiva, controversa e/o bigotta. Noi proibiamo comportamenti mirati che molestino, minaccino, o utilizzino la paura per zittire gli altri, e scendiamo in campo quando le nostre regole vengono violate». Il nocciolo della questione sta proprio nel concetto di “comportamenti mirati“. Prendersela con la categoria dei trasgender non è un problema, lo diventa solo nel momento in cui il riferimento è ad una specifica persona transgender. Twitter lo spiega chiaramente e candidamente nel post successivo: «Se gli individui non sono individuati (con la menzione @, taggati in una foto etc), permettiamo un ampio spettro di contenuti, almeno fintanto che non superi la linea della minaccia violenta».

 

(credits foto di copertina: Tobias Hase/dpa)