Ognuno dovrebbe assumersi le responsabilità di quello che fa. È questa la sostanza della domanda che il giornalista de Il Manifesto Andrea Fabozzi fa al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, stuzzicandolo sui tagli all’editoria previsti dal governo giallo-verde. In modo particolare, il riferimento è ai finanziamenti per quelle cooperative che sono voce di una precisa organizzazione politica, sindacale o di minoranze etniche.
Nel corso della conferenza stampa, Andrea Fabozzi prende la parola e inizia la sua domanda con un amarcord: «Probabilmente – dice – questa potrebbe essere la mia ultima conferenza stampa qui, se dovessero concretizzarsi i tagli all’editoria che il suo governo ha previsto». Poi, dopo una breve descrizione dello stato dell’arte (i tagli coinvolgono anche altri giornali o emittenti come Radio Radicale o Avvenire), Fabozzi passa alla domanda vera e propria.
«Se la sente di rivendicare con orgoglio il fatto che il suo governo farà chiudere delle voci dell’opposizione come il Manifesto, Radio Radicale o Avvenire?». La domanda è tagliente, così come la risposta del presidente del Consigio Giuseppe Conte, che si dimostra infastidito dal quesito posto dal giornalista del Manifesto.
«Più che una domanda – risponde Conte -, la sua mi sembra una provocazione. Non credo che i giornali come Avvenire possano definirsi d’opposizione, anche se non sono favorevoli a questo governo. Per carità, non voglio dare il bacio della morte a nessuno». Al di là dei giri di parole iniziali, che dimostrano che il presidente del Consiglio ha accusato il colpo, la risposta di Conte non è soddisfacente.
Il presidente del Consiglio si rifugia dietro la classica scusa del tavolo tecnico: «Dobbiamo ancora discuterne: apriremo un momento di confronto che spero possa essere costruttivo. Spero che possiamo risolvere la situazione e poi giudicherete voi se questo governo è per la libertà di stampa o meno». Tutto e niente.