Sabina Ratti: la signora con la moto che decide per Profumo

Categorie: Senza categoria

Sempre in prima linea. Cattolica, rampante, interventista. Forse un po’ troppo.



Non si sa le scena resterà negli annali delle trattative per la liquidazione dei manager. Ma di sicuro nella storia del giornalismo sì. La Ducati rossa che si ferma in via Barozzi, davanti al rinomatissimo studio Bonelli, Erede e Pappalardo, e la signora che ne scende facendosi poi largo tra la pattuglia dei giornalisti per varcare la porta e salire al piano dove il marito si è asserragliato dopo l’addio alla “sua” banca. E la stessa signora che si prende la responsabilità di scendere, a mezzanotte, per annunciare che le dimissioni sono state finalmente firmate, e Alessandro Profumo è ufficialmente l’ex amministratore delegato di Unicredit: “C’è stata una richiesta del cda e si è dimesso. Ha firmato. Mio marito e io siamo serenissimi, anche se sottoposti a un grande stress”.

CIAO CIAO – Ma chi la conosce non si è stupito per niente. Sabina Ratti è fatta così: sempre in prima linea, anche nel fare le veci del marito, se lo ritiene necessario. Oppure a parlare per lui, che spesso è taciturno e perso nei propri pensieri, anche in quelle occasioni ufficiali in cui bisognerebbe dimostrare un po’ di partecipazione nel conversare con chi si incontra e fare i soliti convenevoli. Anzi: le cronache raccontano di lei che entra nei salotti ripetendo due volte i saluti (“ciao ciao, come stai come stai”), e lui invece abituato più ad annuire e a rispondere per monosillabi. Ma evidentemente quella tra Sabrina e Alessandro è una coppia ben assortita, in cui gli opposti si conciliano: l’esuberanza e la personalità di lei – quante donne conoscete con un reddito maggiore di 100mila euro all’anno che per gli spostamenti preferiscono la moto all’autista? – viene in soccorso alla timidezza di lui, che spesso porta l’ex a.d. di Unicredit a distrarsi ed estraniarsi per rifugiarsi nei suoi pensieri.



MI ALZO E ME NE VADO – Oppure ad alzarsi ed andarsene quando una cosa non gli sta bene. Si racconta infatti che così abbia reagito Profumo alla prima offerta di liquidazione da parte dei suoi ex soci. Anche perché era imbarazzante: 25 milioni di euro, derivati dal calcolo “al ribasso” di bonus e premi a causa degli ultimi due anni di crisi economica, che hanno portato Piazza Cordusio più volte sull’orlo del collasso. Così mi trattate dopo quasi vent’anni?, pare abbia pensato prima di lasciare la poltrona dov’era seduto e rifugiarsi nello studio legale più rinomato di Milano. E poi portare a casa molto di più, in una vicenda che comunque per uno come lui rimane piuttosto imbarazzante. Profumo è stato graziato più volte negli ultimi anni in cui Unicredit ha mantenuto un capoazienda che ha chiesto 7 miliardi di euro agli azionisti e nello stesso periodo non è riuscito a riportare la banca a livelli di redditività accettabili. Per chi ha sempre considerato la qualità della “bottom line” l’unica legittimazione al comando, una resa dei conti doveva esser accettata come naturale evoluzione delle cose. Anche se, come in questo caso, la causa scatenante non sono i numeri di bilancio, ma l’aver contrariato una volta di troppo una parte consistente dei suoi soci.

MA NESSUNO PENSA AI GIORNALISTI? – Invece è stato il primo a “buttarla in politica” e c’è da scommettere che se lo scudo offerto da Tremonti e dalle Fondazioni amiche (Torino, Reggio Emilia) fosse stato più consistente, avremmo assistito ad una resistenza degna dei migliori banchieri “di relazione” che tanto disprezza. Non ci ha risparmiato l’ipocrisia del: “Mi dispiace per tutti gli uomini e le donne che in questi anni hanno lavorato al mio fianco”. E men che meno si è evitato la caduta di stile di otto ore di barricate nello studio dell’avvocato per spuntare 10-15 milioni di euro in più sulla liquidazione. Altro che “devono avere il coraggio di cacciarmi”: il voto Profumo alle 15 se lo sarebbe risparmiato volentieri, solo che in quel caso l’assegno d’oro sarebbe stato di poco superiore ai 20 milioni di euro. Allora meglio la fuga da Piazza Cordusio, meglio costringere i giornalisti ai tripli turni e a sorbirsi la sgommate della moto nel centro di Milano. In poche ore la firma sulla lettera di dimissioni si è rivalutata fino a 40 milioni, regalandoci la beffa finale dei due milioni dati in beneficenza.



NON SONO UNA SIGNORA – E adesso, che farà Alessandro? E cosa ne pensa Sabina? Di certo c’è soltanto una cosa: che decideranno insieme. Ha scritto Annalena Benini sul Foglio che la loro è” l’epica di una coppia molto unita, anche se lei a Milano non ha mai voluto farsi chiamare signora Profumo, per paura forse di perdere in individualità, anzi era lui che si divertiva a dire: “Preferisco essere considerato il marito di Sabina”, quando Sabina Ratti si candidò alle primarie del Pd, capolista per Rosy Bindi (Con Rosy, Democratici davvero) e Profumo l’accompagnò a votare. Non voleva, con la sobrietà di una signora che non mette in tavola le bottiglie di champagne ma le scaraffa per non sembrare cafona, dividere i successi del marito, ma pretende adesso di aggrapparsi all’insuccesso, indicando anche la strada futura: “Comunque non è la fine del mondo, non c’è mica solo l’Unicredit!””. Troveranno un’altra banca?

IL NOME E’ MIO E ME LO GESTISCO IO – Per lei non sarebbe la soluzione migliore. Manager Eni, esperta di responsabilità sociale d’impresa e di sviluppo sostenibile, impegnatissima nel sociale, la definiscono semplice, profonda, ma anche concreta, una che lavora e guarda ai risultati, insomma una manager. Vicina ad Emergency e al Partito Democratico nella corrente di Rosi Bindi, per il marito sogna qualcosa di più. E i sogni, si sa, son desideri. Solo tre anni fa si è candidata alle primarie che hanno incoronato Walter Veltroni, capolista a Milano proprio per la Bindi. All’epoca Sabina non ha fatto però come Milly Moratti, che ha usato il nome del marito per presentarsi agli elettori del PD. La Ratti è una di quelle donne “non ornamentali” che la Bindi volle all’epoca candidare nelle proprie liste per le primarie: “Voglio donne reali, non vip da copertina”, disse Rosy polemizzando con Veltroni (e suscitando una risposta piccata di Afef Tronchetti Provera).

PATTO GENERAZIONALE – D’altronde, come ha scritto Marianna Rizzini sempre sul Foglio, Sabina a casa respirava cattolicesimo democratico, era ragazzina negli anni caldi ma nel ’77 lei e Alessandro non avevano tempo per marce e tadzebao: “Non avevano nemmeno vent’anni, erano già fidanzati. Un giorno lei ha scoperto di essere incinta. E certo che il bambino lo teniamo, e anzi festeggiamo, e non importa se all’inizio dobbiamo vivere da mamma e papà. La casa c’era, veramente, l’avevano regalata a Sabina i genitori. Bisognava sistemarla e allora Sabina ci andava tutti i giorni anche con il pancione, e lui studiava e lavorava, e meno male che c’era papà Ratti perché sennò magari il posto al Banco Lariano Alessandro non lo avrebbe trovato”. Per questo oggi lei e il marito non amano i salotti e le località mondane, preferiscono frequentare pochi amici e trascorrere le vacanze in Africa invece che in Sardegna. Ha firmato, insieme ad Alessandro, il Patto Generazionale dell’ex socialista Luca Josi, impegnandosi a sessant’anni a lasciare o a rifiutare ruoli di comando in politica e nell’economia, a favore dei giovani. Proviene da una famiglia cattolica, è sempre stata orientata verso la sinistra moderata, come suo marito, sostenitore di Prodi e di Veltroni, che tuttavia non aveva risparmiato qualche critica al nascente Pd: “Vedo poca innovazione e troppe pressioni dei vecchi apparati”, aveva detto Profumo.

DAMA DI CARITA’ – All’epoca della campagna elettorale, scriveva Affari Italiani, è stata alla Casa della Carità di don Virginio Colmegna (diretta da Maria Grazia Guida, anch’essa eletta a Milano con la Bindi); il menù della cena risotto, prosciutto e mozzarella, lo stesso degli ospiti abituali di don Colmegna, per lo più emarginati e immigrati. Sabina Ratti aveva detto poche parole per spiegare la sua scelta politica: “Rosy rappresenta una risposta chiara per quanto riguarda la laicità, quello che dice e fa ci conforta”. Alla serata c’era anche Alessandro Profumo, solo in veste di accompagnatore, aveva precisato, e “per ascoltare”. Sorpresa: è la stessa Casa della Carità a cui l’ex a.d. di Unicredit, proprio su pressione della moglie, ha fatto destinare due dei quaranta milioni di buonuscita dall’istituto di credito. Sul suo sito web, la Casa della Carità si presenta come “una fondazione che persegue finalità sociali e culturali istituita nel maggio 2002 su iniziativa del cardinale Carlo Maria Martini e che ha come garanti il sindaco e l’arcivescovo pro tempore della città di Milano. La nostra principale attività è ospitare e prenderci cura di persone in difficoltà. Ogni giorno ospitiamo circa 150 persone tra uomini e donne, italiani e stranieri, giovani e anziani. I nostri ospiti sono coinvolti nel proprio reinserimento sociale, nella ricerca di un lavoro e di un’abitazione. Inoltre, nella Casa esistono luoghi di ospitalità per mamme sole con figli e per sofferenti di disagio psichico. Abbiamo anche un centro di ascolto e ambulatori di assistenza medica e psichiatrica più uno sportello di tutela legale”.

NIGHTMARE TICKET – E tra le tante attività meritorie, c’è anche quella di combattere la violenza negli stadi. Come? Ma con “L’Inter Club – Non violenti per passione”, che “promuove la cultura del tifo non violento, organizza eventi di solidarietà legati allo sport, favorisce la pratica sportiva dei minori”. Già, l’Inter. Una passione, il calcio che accomuna anche il grande manager della banca orientata al profitto al medico volontario che apre ospedali nei più orrendi teatri di guerra del pianeta. E infatti li chiamavano “il ticket”, perché si presentavano sempre in coppia, Alessandro Profumo e Gino Strada in tribuna d’onore a San Siro per seguire la partita della Beneamata. E anche qui, l’amicizia tra i due è stata ancora una volta favorita dall’onnipresente Sabina. Poi i rapporti si sono leggermente raffreddati, ma l’impegno sociale incarnato dal medico che cura i bambini in Afghanistan è sempre stato fonte di ammirazione per i due coniugi. Soprattutto per Sabina.

SQUALI O POLITICA? – Cosa farà “da grande” Alessandro? Se lo chiedono in tanti, tantissimi. Il patto di non concorrenza non dovrebbe permettergli di sedersi su un’altra poltrona bancaria prima di un anno, e non è tanto di questi tempi: spesso le aziende di credito pretendono un intervallo di tempo ancora più ampio. Probabilmente Profumo ha scambiato qualche milione di euro con qualche mese in meno di esilio dorato: comprensibile, per uno come lui, che non ha certo pensato nemmeno per un attimo a farsi da parte, anche se il patto generazionale gli consente soltanto altri sette anni di lavoro, prima del ritiro. Di sicuro non torneranno alle Maldive, dove hanno vissuto qualche tempo fa un “Primo dell’ anno con naufragio” insieme ad Alberto Luca Recchi, fotografo di squali, accompagnato dalla moglie, la giornalista Caterina Stagno. Tutti appassionati di mare e sub esperti, ebbero la sfortuna di vedersi la barca incagliata nella barriera corallina durante la navigazione, e successivamente trovarsi distrutte la carena e l’elica. In attesa dei soccorsi, raccontava Repubblica all’epoca, i naufraghi hanno fatto un’ altra escursione tra gli squali. Un’esperienza molto simile agli ultimi consigli di amministrazione di Unicredit, forse. In ogni caso, in questi sette anni qualcosa da fare si può trovare. Lui ambirebbe a qualcosa nello stesso campo, anche se sarà difficile trovare un posto all’altezza di uno che ha trasformato in colosso internazionale una banca che in Italia non era nemmeno la più grande. Lei, invece, per il marito immagina un futuro nell’agone peggiore: la politica. Però Alessandro nicchia. Per un manager abituato a prendere decisioni e a prenderle in fretta, eventualmente pagando anche per gli errori in prima persona, la politica italiana non sembra nemmeno lontanamente il luogo ideale. Sarà un bel discutere, tra il signor Profumo e la signora Ratti: magari a modo loro, tra le molte parole di lei e i lunghi silenzi di lui. Chi vincerà?