Uccise in «tempesta emotiva», il presidente della corte d’Appello spiega che la gelosia non è stata un’attenuante

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Giuseppe Colonna spiega che la morbosità dell'uomo sia stata, anzi, considerata come un'aggravante. Lo sconto di pena dovuto ad altri fattori

Ha fatto discutere la sentenza della Corte d’Appello di Bologna che ha ridotto la pena di un uomo a soli 16 anni di carcere per aver ucciso a Riccione una donna con cui si stava frequentando. Si è parlato di «raptus emotivo», quindi di gelosia che avrebbe mosso il 57enne a infierire sul corpo della sua compagna e ucciderla. L’ha strangolata a mani nude, poi ha inscenato un suicidio. Per i giudici, però, tutto questo non è servito per confermare la condanna all’ergastolo, arrivando – seguendo alcuni step procedurali – alla pena di 16 anni di reclusione.



«La misura della responsabilità (sotto il profilo del dolo) era comunque condizionata dalle infelici esperienze di vita, affettiva, pregressa dell’imputato – spiega il presidente della Corte di Appello di Bologna Giuseppe Colonna -, che in passato avevano comportato anche la necessità di cure psichiatriche, che avevano amplificato il suo timore di abbandono». I giudici hanno deciso di concedere le attenuanti generiche a Michele Castaldo, imputato per l’omicidio di Olga Matei, a Riccione, nel 2016.

La sentenza sul femminicidio di Riccione e la non attenuante della gelosia

Secondo Giuseppe Colonna, le attenuanti concesse all’imputato non sono derivate dalla gelosia – e quindi dalla sottovalutazione del problema che, secondo lui, è stato considerata una vera aggravante nel giudizio -, ma si è basata anche sulla immediata e spontanea confessione e sul fatto che l’imputato ha tentato di iniziare a risarcire la figlia della vittima. Tutto questo è bastato per concedere un clamoroso e rumoroso sconto di pena. E la sintesi delle motivazioni della sentenza sul femminicidio di Riccione è data dallo stesso presidente della Corte d’Appello di Bologna, che parla di scelte puramente tecniche in base a tutto ciò che è emerso nel corso delle indagini.



Grazie alla confessione dell’uomo si è arrivati a trovare il responsabile

Solo la confessione «aveva infatti apportato nel processo i dati conoscitivi (altrimenti ignoti e insondabili), che hanno consentito di fondare l’affermazione di sussistenza della aggravante (che determina la elevazione della pena dalla normale ‘forbice’ 21-24 anni di reclusione a quelle fissa dell’ergastolo, che, in caso di abbreviato, si ridetermina in anni 30 di reclusione)».

(foto di copertina: archivio Ansa)