«Qualche giorno fa, dopo aver pubblicato la petizione per una legge contro il revenge porn, ci è arrivata una segnalazione di una ragazza che ci ha raccontato la sua storia. Dare voce a questa problematica fa sentire le vittime meno sole, fa capire che queste cose succedono. E che vanno denunciate». Irene Facheris è la portavoce dell’associazione Bossy. Con I Sentinelli di Milano e con l’associazione Insieme in Rete, hanno raccolto l’invito di Silvia Semenzin, la ragazza che ha fatto partire l’iniziativa contro il revenge porn.
Iniziativa da record: sono state raccolte oltre 78mila firme, che venerdì 14 dicembre verranno consegnate all’ex presidente della Camera Laura Boldrini. Starà a lei cercare di portare questa istanza in Parlamento e rendere concreta quella che, al momento, è un’esigenza condivisa.
«I Sentinelli di Milano – dice a Giornalettismo Luca Paladini – si sono sempre interessati alle tematiche che riguardano l’odio in rete. Tempo fa abbiamo organizzato anche la prima manifestazione sul tema, portando 3000 persone in piazza San Babila. Il problema è che c’è un grado diffuso di deresponsabilizzazione di ciò che si scrive e si pubblica in rete. È quella che si può definire banalità del male».
Dietro al percorso che le tre associazioni hanno condiviso e che ha portato alla convergenza sulla proposta lanciata da Silvia Semenzin, ci sono le storie di chi è stato coinvolto in prima persona in minacce sul web, ma anche di tanti testimoni di quella che, oggi, è una prassi comune. Giri un video di sesso e lo pubblichi dappertutto, con la vittima inconsapevole che sarà collegata per sempre a quelle immagini che dovevano restare private. Il pensiero, inevitabilmente, va a Tiziana Cantone e a quello che le è successo.
«All’inizio ci dicevano che era un tema di nicchia – ci dice Vittoria Gheno di Insieme in rete -. Noi ci abbiamo creduto, invece, perché è un problema diffuso. Il legislatore deve farsene carico perché deve rispondere alle esigenze delle persone. Rientra nell’obiettivo della nostra associazione: anche una legge contro il revenge porn è un modo per mettere in atto un esercizio consapevole della cittadinanza».
Questa cultura e questo rispetti civico deve, per forza di cose, partire dalle scuole. Tutte e tre le associazioni si sono impegnate a trasmettere questi messaggi negli istituti. Insieme in Rete è stata contattata da alcuni studenti dell’Università Cattolica di Brescia che stanno portando avanti un progetto di sensibilizzazione sul tema del revenge porn e dell’odio sul web, Bossy e I Sentinelli partono dai banchi delle aule delle nostre scuole per raccontare cos’è la sessualità, cos’è il consenso e cos’è la disponibilità. Soltanto partendo da queste parole chiave (e dalle loro sfumature) si può cercare di far capire ai ragazzi quali sono i limiti che non devono essere superati.
«Un’altra cosa che va sottolineata – dice Facheris di Bossy – è il trattamento con due pesi e due misure delle vittime del revenge porn. Sia gli uomini, sia le donne vengono privati della loro intimità, violata in entrambi i casi. Ma pubblicamente, se è una donna la vittima del revenge porn, il comportamento di chi guarda il video è molto più feroce. L’uomo che fa sesso è figo, la donna invece sbaglia a prescindere».
Tutti questi elementi, da venerdì, saranno a disposizione della politica. Quella pura, intesa come proiezione della polis e non come semplice opposizione di schieramenti. La speranza delle tre associazioni che hanno lavorato alla diffusione della petizione è che questa urgenza espressa dalla società italiana possa prendere forma. Il percorso è ancora lungo, ma c’è speranza.