Il problema dei dati di netflow ceduti a chi monitora gli hacker: finiscono davvero in buone mani?

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Joseph Cox, di Vice, si è posto il problema e ha consultato diverse fonti anonime che hanno mostrato qualche perplessità

Vice li definisce «la spina dorsale di internet». E, in effetti, il lavoro che è stato realizzato dal giornalista e analista Joseph Cox va a investigare sulla parte più complessa del mondo del web, quella che – direttamente o indirettamente – riguarda ciascuno di noi. Abbiamo spesso chiarito come i dati siano l’oro da ricercare in miniera nel nostro secolo e di questo sono consapevoli tutti: dagli hacker che tentano quotidianamente di violare banche dati più o meno importanti, sino ai servizi di intelligence che hanno una diretta connessione con la politica. La domanda che si è fatto Joseph Cox è: ma in che mani finiscono i dati veramente importanti di internet – i cosiddetti netflow – quando questi vengono forniti per agevolare la sicurezza informatica?



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Netflow, di cosa stiamo parlando e perché sono importanti

I dati di netflow sono la diretta conseguenza di un protocollo che permette di accedere a delle informazioni davvero preziose, come gli indirizzi IP da cui partono o che ricevono le comunicazioni in rete: sono dati geolocalizzati, che fotografano in maniera molto precisa ciò che sta avvenendo in rete. L’importanza del loro utilizzo è piuttosto intuitiva: pensate a quanto sia fondamentale avere un quadro del genere quando è in corso un attacco hacker. Per questo, i dati di cui stiamo parlando sono molto ricercati. Ma chi li tratta – con lo scopo primario di garantire la nostra sicurezza – poi cosa ne fa? È questa la domanda da cui è partito Vice per un’analisi approfondita su questo argomento.



Nella fattispecie, Vice ha parlato del Team Cymru – ad esempio -, che è una società di cybersecurity. Questa stessa società collabora con gli internet providers: secondo alcune fonti consultate proprio da Vice, questi ultimi forniscono dati di netflow. Su questo, dunque, si basa l’indagine: gli utenti sono informati di questa possibilità? Chi ha accesso a questi dati? Dove vengono conservati e a cosa servono quando non vengono utilizzati direttamente per contrastare attacchi hacker? Il Team Cymru non ha risposto direttamente alle domande del giornalista di Vice. Tuttavia, alcune testimonianze indicano che – sebbene il suo ruolo sia molto delicato -, alla fine è nel suo interesse lavorare per la sicurezza di quegli stessi dati.

Fatto sta che il caso indicato non è l’unico e, come questo esempio paradigmatico, ce ne sono anche altri in giro per il mondo. È opportuno monitorare e chiedersi se i dati di netflow – che costituiscono davvero l’essenza di internet in sé – siano davvero tutelati in maniera completa e non, magari, esposti a casi che – con il passare del tempo – si possono rivelare critici.