Perché la moderazione della transfobia su Facebook non sta funzionando

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Intervistando Melissa Ingle, ex dipendente di Twitter, su moderazione e licenziamenti abbiamo ottenuto una valanga di comenti transfobici segnalati a Facebook che, secondo la piattaforma, non violano le linee guida

Di recente abbiamo intervistato Melissa Ingle, ex dipendente Twitter del team di moderazione licenziata da Elon Musk. Il fulcro delle due interviste video che abbiamo condotto – pubblicando poi gli articoli annessi su Facebook – erano la moderazione su Twitter finora e la moderazione su Twitter con Musk e la procedura automatizzata e disumanizzante con la quale migliaia di persone sono state lasciate a casa. Nei commenti di questi articoli su Facebook hanno iniziato a comparire parole e insulti di utenti che hanno scelto di parlare di qualcosa che nulla ha a che vedere con i contenuti che abbiamo proposto o dei quali abbiamo parlato con l’intervistata: la sua identità di genere. Tra i moltissimi «Melisso», le domande rispetto al fatto che fosse un uomo o una donna e gli insulti veri e propri, sono veramente troppi i commenti relativi a una tematica che con il contenuto proposto non aveva niente a che vedere. Ci siamo quindi visti costretti a fare appello alla moderazione transfobia su Facebook.



Nella Giornata contro la violenza sulle donne ci sono arrivati i responsi di due delle svariate segnalazioni – considerando che, tutt’ora, dobbiamo continuare a segnalare commenti violenti sotto quegli stessi articoli. Il responso di Facebook per commenti di utenti che hanno nomi come “Penso Libero” è: «Abbiamo esaminato il commento che hai segnalato e stabilito che rispetta i nostri Standard della community. Per questo motivo non lo abbiamo rimosso». Parlando poi di un’«analisi all’insegna della massima correttezza, Facebook ci invita a nascondere i commenti che non ci piacciono.

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Moderazione transfobia Facebook: perché non funziona

I commenti che abbiamo segnalato utilizzavano tutti un linguaggio violento e palesemente atto a non riconoscere la libertà di autodeterminarsi di Melissa Ingle. Vediamo qualche esempio della tipologia di intervento che utenti accecati dall’odio per le persone trangender hanno scelto di lasciare sotto articoli e contenuti video che con l’identità di genere della persona intervistata non avevano assolutamente nulla a che fare.



La stragrande maggioranza di questi commenti – volendo cercarli – non sono più visibili perché abbiamo scelto di nasconderli. Frasi volgari, incitamento all’odio e alla stigmatizzazione delle persone transessuali in un contesto in cui alla transessualità non si è fatto il minimo riferimento. Un livello di odio alto, quindi, che spinge chi sta dietro la tastiera a commentare solo per insultare questa persona e a prescindere da quello che ha fatto o subito, da quello che dice.

Ancora: «Molto meglio senza questi ibridi personaggi schierati palesemente» o «Vedebdo chi erano i moderatori mi spiego tante cose. GRANDE ELON MUSK!». Questi sono commenti che, pur non presentando parole effettivamente volgari e offensive, contribuiscono a rafforzare pubblicamente lo stigma che continua a rimanere forte nei confronti delle donne e delle persone trangender.

Le ragioni dietro la scelta di scagliarsi contro Melissa – che di transessualità o della sua persona esperienza non parla in alcun modo – sono frutto di odio puro e semplice. Non c’è nessun intento di partecipare alla discussione su licenziamenti e moderazione su Twitter, solo quello di odiare qualcuno in maniera del tutto gratuita rendendolo vittima di bullismo e parole denigratorie per via della sua immagine. E questo, secondo Facebook, «rispetta gli Standard della community».