L’uomo che rivoluzionò il cinema e invertì gli orologi: 20 anni senza Stanley Kubrick

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20 anni fa si spegneva il cineasta che ha cambiato la storia del cinema e la nostra idea di futuro

Chi l’ha detto che il tempo corra solo in una direzione? O che lo scorrere degli anni, e dei secoli, coincida per forza con il progresso sociale o individuale? È questa l’ossessione più ricorrente che il cinema di Kubrick, breviario visivo essenziale per capire il cinema (e forse buona parte di quello che è stato il Novecento), sembra suggerire. Il regista ci lasciava 20 anni fa, il 7 marzo 1999, sul finire di un secolo che aveva contribuito a tratteggiare, dopo anni di studio e capolavori.



Una carriera lunga quasi 50 anni, costellata da pellicole grandiose e meticolose, dove sono presenti gli ingredienti che contraddistinguono da sempre il nostro essere uomini. Aggressività e sessualità, guerra e volontà di potenza, conoscenza e controllo: sono solo alcune delle tematiche esistenziali che il regista americano ha saputo illuminare senza tabù, facendo tabula rasa di sovrastrutture e pregiudizi. Ma a essere frantumata dal regista americano è proprio l’idea della linearità della storia e della sua implicita razionalità: una concezione che sembra quasi banale oggi, ma che non lo è stata per larga parte del ‘900.  «La storia non è magistra di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve a farla più vera e più giusta» scriveva Eugenio Montale. Il cinema di Kubrick sembra essere la messa in scena di questa amara osservazione.

Ecco le cinque pellicole essenziali in cui il regista americano inverte gli orologi e ci suggerisce che il tempo non scorre, purtroppo, in una sola direzione.



Dalle scimmie ai viaggi interstellari di Kubrick

Un viaggio lungo millenni che parte da un osso, usato come arma dai primi primati, che si trasforma, con un sapiente stacco di montaggio, in un’astronave. Il viaggio interstellare ed evolutivo dell’uomo termina  in una stanza arredata in stile neoclassico, un rimando indiretto a ‘l’età dei lumi’. Qui il viaggiatore vedrà se stesso invecchiare, morire e resuscitare (sotto forma di feto astrale), di fronte all’immancabile monolito, lo stesso visualizzato dai primi primati, simbolo ermetico di un film che ha rivoluzionato per sempre la nostra idea di fantascienza. ‘2001 Odissea nello spazio’ (1968) è forse il film più famoso di Kubrick, sicuramente il più studiato. È la summa della sua poetica e del suo meccanismo narrativo. Il viaggio dell’uomo, lungo millenni, così come la vita individuale del viaggiatore, si accartoccia su se stesso. Tutto riporta all’inizio. Al movimento storico si sostituisce la circolarità. Al progresso una sorta di ‘eterno ritorno’ che fa ancora dibattere a critici e storici della Settima Arte.



Dalla violenza individuale a quella di Stato

‘Arancia Meccanica’ (1971) è sicuramente una delle distopie più famose della storia del cinema. Nella parabola di Alex, giovane dedito alla ultraviolenza con una gang di teppisti, poi arrestato e curato grazie alla sconsiderata ‘Cura Ludovico’, il regista confessa implicitamente tutta la sfiducia nei confronti della società e dei progetti di ingegneria sociale volti a rimodellare dall’esterno la natura dell’uomo. Il viaggio di Alex, da teppista individuale a poliziotto, unico modo in cui può esercitare la violenza senza preoccupazioni legali, è una parabola senza speranza. Ancora una volta non c’è nessuna evoluzione, non ci possono essere cambiamenti strutturali che esulano dal libero arbitrio degli individui. L’aggressività è parte della natura umana e, a quella individuale, fa da contraltare quella spesso invisibile e accettata, la violenza di stato.

Una versione avallata dallo stesso regista: «Sono interessato alla brutale e violenta natura dell’uomo perché è una sua vera rappresentazione. E ogni tentativo di creare istituzioni sociali su una visione falsa della natura dell’uomo è probabilmente condannato al fallimento».

Un orrore che si ripete

Prova ‘Horror’ del regista americano, e vero e proprio capolavoro del genere, ‘Shining’ (1980) è una tragedia in cui, a distanza di decadi, tutto si ripete simile a se stesso. Nel tratteggiare la figura di Jack Torrence, ex insegnante disoccupato e guardiano invernale dell’Overlook Hotel e del suo progressivo delirio omicida, Kubrick riesce a risvegliare un’inquietudine sottile che è alla base della maggior parte delle nostre paure. Quella zona d’ombra dove le figure famigliari diventano minacciose, dove tutto cambia di segno lasciandoci privi di punti di riferimento. Ma nel tentativo folle di Jack di sterminare tutta la sua famiglia, l’uomo segue i passi del suo predecessore, una premessa con la quale il film si apre: la ‘maledizione’ si compie di nuovo, senza nessuna variazione. Nella fine del film inoltre, il regista riesce a inserire un vero e proprio colpo di scena che inverte letteralmente i nostri orologi.

La guerra senza filtri

La guerra, con gli istinti e le forze che scatena, sono una vera e propria costante del cinema del regista americano, che aveva già affrontato il tema in altre pellicole come ‘Orizzonti di gloria’, ‘Il Dottor Stranamore’ e ‘Barry Lindon’. Full Metal Jacket (1987), basato sull’addestramento (e sul successivo invio in Vietnam) di un gruppo di marines americani, è un film che presenta molti rimandi, paradossalmente ad Arancia Meccanica. Ancora una volta un’istituzione si occupa di ‘rieducare’ gli individui, questa volta per trasformarli in vere e proprie ‘macchine di morte’. Una parabola evidente nella vicenda del soldato Leonard – alias ‘Palla di Lardo’- ma anche in quella di Jocker, uno dei protagonisti. Ancora una volta non c’è evoluzione, la violenza istituzionale viene metabolizzata dagli individui, mentre l’irrazionalità acceca le coscienze.

Quando il sogno si fa realtà

Ultima opera del regista americano, tratto dal romanzo ‘Doppio Sogno’ di Arthur Schnitzler, ‘Eyes Wide Shut’ (1999) è un viaggio al termine della notte tra erotismo, morbosità, incubo, maschere e morte. Nell’odissea e negli eventi che turbano la vita di Bill, benestante medico newyorkese e che sconvolgono il suo equilibrio borghese, c’è tutto il limite di una ragione che non può controllare la realtà, di una veglia che non può né sopprimere, né addomesticare l’inconscio e l’onirico. Ma il viaggio vorticoso del medico in una New York decadente e labirintica non si apre su una nuova consapevolezza. Dopo le disavventure che hanno minato il loro rapporto e la loro incolumità, Bill confessa alla moglie (un’avvenente Nicole Kidman) il suo proposito di voler rimanere ‘sveglio per sempre’. Un proposito che viene declinato seccamente dalla consorte che ci regala, prima dell’ultimo fotogramma, una battuta destinata a entrare nella storia del cinema.