Il sistema contributivo per le pensioni dei parlamentari era stato votato con ampia maggioranza all’epoca del governo di Mario Monti. Tra i principali sponsor di questa legge c’era anche l’ex finiano Italo Bocchino che, anche recentemente, si era espresso in questi toni: «Ero indignato all’idea di poter avere la pensione già dai 50 anni – aveva affermato -. E sono rasserenato dal fatto che mi è stata tolta per i prossimi 15 anni».
Peccato che, su questa sua nobilissima posizione, sembra aver fatto retromarcia. Secondo quanto riportato dal quotidiano La Verità, infatti, Italo Bocchino – insieme a un altro manipolo di ex parlamentari composto da Daniele Molgora, Mario Landolfi, Roberto Rosso, Roberto Menia, Tommaso Foti, Filippo Ascierto e Mario Valducci – è riuscito a vincere il ricorso contro quel passaggio al sistema contributivo.
Così, non dovrà aspettare i 60 anni (secondo il sistema contributivo, infatti, per ricevere l’assegno servono 60 anni se si sono accumulate più legislature e 65 se si è stati eletti per un solo mandato) per incassare la pensione, ma potrà ottenerlo subito. All’età di 51 anni o giù di lì.
Il 20 marzo, infatti, il Collegio d’appello della Camera – nel silenzio mediatico – ha dato ragione ai ricorrenti che avevano presentato richiesta di revisione del sistema contributivo per quanto riguarda i loro casi nel 2015. Ha riconosciuto, infatti, l’anomalia della loro posizione e – allo stesso tempo -, in assenza di un più chiaro ordinamento regolamentare, ha affermato che la stessa situazione potrebbe toccare anche ad altri deputati o ex deputati nelle stesse condizioni.
Suonano a questo punto profetiche le parole di Luigi Di Maio di qualche giorno fa, rivendicando per il Movimento 5 Stelle la presidenza di palazzo Montecitorio: «Abbiamo chiesto la presidenza della Camera perché qui ci sono più vitalizi da tagliare che regolamenti da modificare».
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