Ibogaina, una sostanza che combatte la dipendenza da droga?

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Un allucinogeno che, secondo alcuni, libera il corpo da ogni dipendenza fisica e psicologica senza crearne di una nuova. Ma la comunità scientifica non ha mai approfondito le ricerche

C’è una sostanza che potrebbe avere un ruolo significativo nella lotta alla dipendenza dalle droghe. Si chiama ibogaina, è poco conosciuta alla maggior parte delle persone, la scienza non ha mai approfondito le ricerche per fornire una risposta autorevole, chiara e definitiva sui vantaggi e sui pericoli che comporta la sua assunzione, ma diversi esperti e pazienti che l’hanno somministrata o assunta sono disposti a scommettere qualsiasi cosa sul suo effetto benefico.



ALLUCINOGENO ANTI-DIPENDENZA – L’ibogaina è un alcaloide vegetale estratto da una pianta dell’Africa occidentale (l’imoga, nome scientifico Tabernanthe iboga, che si trova prevalentemente in Gabon, Camerun, Zaire e Congo) usata dalle popolazioni locali per gli effetti curativi o durante riti sacrali o divinatori. Se assunta in grandi dosi l’ibogaina ha un effetto allucinogeno, in piccole quantità invece diventa uno psicostimolante come tanti, utilizzato soprattutto per aumentare lo stato di allerta, per ridurre fatica, fame e sete, o anche come afrodisiaco. Elimina ogni tipo di assuefazione o astinenza, è capace di risolvere tutti i generi di tossicomanie (la dipendenza dall’alcol, dalla nicotina, dalla cocaina, dal metadone ed altre sostanze), ripulire corpo e cervello dalle droghe, risulta particolarmente efficace nella lotta contro gli oppiacei (come l’eroina), anche nei casi di dipendenza estrema. Oltretutto, una volta assunta, non rappresenta affatto un sostituto della sostanza sconfitta o l’avvio di una nuova schiavitù.



LA SCOPERTA CASUALE – Le forti proprietà anti-dipendenza dell’ibogaina ufficialmente furono scoperte casualmente, nel 1962, da Howard Lotsofis, un ragazzo eroinomane di New York che assunse la sostanza a scopo ricreativo per poi accorgersi il giorno seguente che non aveva più bisogno né della droga pesante che oramai assumeva regolarmente, né di altre. Ma pare – lo dicono alcuni documenti pubblicati in Usa nel 1980 – che la Cia si sia occupata della faccenda fin dal 1950. Lotsof cominciò a studiare la sostanza per dare un’opportunità ad altri schiavi dell’eroina di liberarsene per sempre. Grazie al suo lavoro nel 1985 ottenne il brevetto di Farmaco per interrompere la dipendenza dagli oppiacei e del 1986 quello per la disintossicazione dalla cocaina, dall’alcol e dalla nicotina.

 



POCA RICERCA – Da quella data università, case farmaceutiche, centri di ricerca e governi non hanno mai fatto nulla per accelerare lo studio della sostanza ed in particolare delle proprietà terapeutiche e delle conseguenze della sua assunzione sull’uomo. E’ soprattutto per questo che ancor’oggi non si è giunti ad una terapia scientificamente provata e considerata valida. Uno dei pochi ricercatori che si è interessato al caso, Deborah Mash, del Dipartimento di Neurologia e Farmacologia Molecolare e Cellulare dell’università di Miami, negli anni ’90 spiegava che dell’ibogaina “non sappiamo ancora tutto”. “Sappiamo – affermava – che è un allucinogeno che interrompe la dipendenza, ma non conosciamo a fondo il meccanismo, il come e dove agisce nel cervello”. Le ricerche di Mash rivelarono che l’ibogaina “da un lato blocca l’attività delle dopamine, ritenuta responsabile del meccanismo di dipendenza dalle droghe”, dall’altro l’effetto è “simile a quello del Prozac, un’azione sull’umore generale, riscontrata in chi si è sottoposto a terapie con l’ibogaina al di fuori degli Usa”. Precisamente dunque l’ibogaina agisce sul cervello legandosi ai recettori cerebrali della morfina, l’oppiaceo che viene poi trasformato in eroina. La sostanza si lega, cioè, a molecole presenti sulla superfice di alcune cellule del sistema nervoso, interferisce con i mediatori chimici che generano le nostre sensazioni, interviene nelle zone del cervello dove si concentra la produzione di dopamina che scaturisce dall’assunzione di morfina o altre droghe, e la inibisce. Una scoperta interessante che equivale ad un traguardo parziale.

IL PROBLEMA COMMERCIALE – Per trasformare in realtà la speranza riposta nell’ibogaina da cocainomani ed eroinomani bisognerebbe abbattere l’ostilità del mondo medico-scientifico. “E’ una scoperta che viene dai gruppi self-help, dagli ex tossicodipendenti, e questo da solo basta per far vedere l’ibogaina in modo critico”, raccontava a suo tempo la dott.ssa Mash. A questo problema si aggiunge quello economico. Lotsof è il possessore del brevetto e di tutti i diritti sull’eventuale sfruttamento commerciale della sostanza. E la sua tentazione di monetizzare può essere più forte degli obiettivi di lungo periodo. Ragionava l’esperta: “Lotsof sta portando gente a Panama per farsi disintossicare con l’ibogaina, facendosi pagare un sacco di quattrini per una terapia che non ha ancora una validità provata scientificamente. Farsi pagare 20mila dollari per una terapia di quattro giorni lo considero molto grave”.

DOVE – Per le sue proprietà allucinogene e per i rischi legati all’assunzione da parte di pazienti con determinati problemi di salute l’ibogaina è considerata illegale in molti paesi, come negli Stati Uniti, in Svezia, in Danimarca, Belgio e Svizzera. In Italia è legale. In dodici paesi è somministrata come medicina sperimentale (Canada, Messico, Caraibi, Costa Rica, Repubblica Ceca, Francia, Slovenia, Olanda, Brasile, Sudafrica, Regno Unito e Nuova Zelanda).

I RISCHI E LE PRECAUZIONI – Altro freno che impedisce un atteggiamento positivo della comunità scientifica sono le perplessità per l’alto tassi di decessi di persone che si sono sottoposte ad un trattamento. Secondo dati forniti da Ibogaine.co.uk, a marzo 2007 erano 12, su un totale di 3611 tossicodipendenti sottoposti a cure, i morti per l’assunzione della sostanza. Probabilmente si tratta di un dato perfino inferiore a quello reale, considerati i trattamenti sommersi nascosti alle autorità. Statisticamente comunque avrebbe perso la vita 1 persona su 300. Secondo gli esperti le principali cause di decesso dopo assunzione di ibogaina sono problemi cardiaci ignorati, l’uso di oppiacei nelle ore successive all’assunzione di ibogaina, la rinuncia ad un ricovero in una clinica. Per assumere la sostanza senza rischi sarebbe necessario sottoporsi prima a severi test clinici, in particolare per verificare il corretto funzionamento del cuore, rivolgersi a strutture sanitarie specializzate, non fidarsi dei consigli di un solo individuo.

IL TRATTAMENTO – La clinica russa Dr Vorobiev, specializzata per le malattie di dipendenza, uno dei centri che ignora i pericoli e offre cure a base di ibogaina, sul web spiega che esistono due tipi di trattamenti a cui sottoporsi per dire no alla droga. “Il primo è focalizzato sulla lotta alla tossicodipendenza, più comunemente la dipendenza da eroina, attraverso la disintossicazione e il sollievo del craving. Il secondo tipo di trattamento è utilizzato per facilitare le sessioni psicoterapeute che generalmente necessitano di dosi sub cliniche di ibogaina”. L’assunzione che elimina le tossine della dipendenza ha effetti devastanti, pari a quelli di una droga. L’effetto può durare anche più di un giorno. Si avvertono allucinazioni uditive e visive, nausea, sudorazione, vomito, vertigini. Si avvistano personaggi mai realmente esistiti, si incontrano persone scomparse da tempo, riaffiorano ricordi e immagini del passato: “L’ibogaina è un allucinogeno che altera la percezione e la cognizione dell’assuntore. Gli effetti dell’ibogaina iniziano 45 minuti dopo la somministrazione. Il processo attivo del trattamento con ibogaina ha una durata da 12 a 24 ore. Limpide visualizzazioni di durata fino a 6 ore costituiscono la caratteristica principale della terapia con ibogaina. Nel corso di questo periodo lavoriamo in modo attivo con i nostri pazienti per usufruire di questo tempo per l’analisi delle condizioni e delle cause che sono alla base della tossicodipendenza e li aiutiamo a trovare le vie di uscita”, fa sapere ancora la clinica.