Lessico giornalistico: si chiama GPA, non “utero in affitto”

Categorie: Mass Media

La semplificazione giornalistica, a volte, porta all'utilizzo improprio di alcuni termini e alla deriva di una narrazione

Ci sono delle parole che, da sole, contribuiscono a costruire una narrazione. Non andiamo troppo lontano e parliamo di un tema di stringente attualità: la guerra in Ucraina. Si sta parlando tantissimo di “partigiani russi” quando si parla degli scontri nell’area russa di Belgorod. In realtà, la parola partigiano è connotata politicamente ed è utilizzata sapientemente per far empatizzare il lettore con le persone che conducono le incursioni in territorio russo. In realtà, chi si sta rendendo responsabile di quanto accade a Belgorod è un misto tra ucraini e rappresentanti dei movimenti di estrema destra russi (a cui la definizione di “partigiani” poco si addice). Ecco, una cosa analoga è stata fatta – giornalisticamente parlando – per il cosiddetto “utero in affitto”, una espressione infelice per definire quella che più correttamente dovrebbe essere chiamata GPA, ovvero Gestazione per altri.



LEGGI ANCHE > Il meraviglioso complotto su Chiara Ferragni e il parto negli Stati Uniti

Perché è molto più corretta la definizione di GPA rispetto a “utero in affitto”

Utero in affitto” è una espressione che è stata utilizzata in maniera molto frequente in ambienti conservatori. Sia i movimenti pro life italiani, sia i partiti di destra hanno spesso impiegato questa accezione con tono denigratorio. In effetti, l’accostamento d’immagini tra l’utero e un affitto non è nobilitante per una prassi – quella della Gestazione per altri – che in diversi Paesi del mondo è considerata una pratica estremamente comune. E che – per questo motivo – non ha bisogno di così tante definizioni, come invece avviene in Italia.



Da utero in affitto a maternità surrogata, poi, il passo è stato breve. L’idea di aggiungere la definizione di “surrogato” a un concetto di vita come la maternità insinua, ancora una volta, nell’ascoltatore una sorta di pregiudizio, anche se – inizialmente – altro non era che un calco dell’inglese surrogacy (che, però, non accostato al termine “maternità” manteneva un connotato piuttosto neutrale). In Italia, l’utilizzo di questa locuzione – anche in ambito legislativo, con il ddl ad hoc che parla di surrogazione di maternitàporta le persone a pensare che questa gestazione, proprio perché surrogata, possa essere diversa da ogni altra maternità. Per questo motivo, è importante che i media si assumano le loro responsabilità e utilizzino una terminologia quanto più aderente alla realtà e quanto più neutrale rispetto a un fenomeno che, altrimenti, rischia di essere demonizzato anche a partire dalla sua narrazione comune.

Una definizione corretta del termine Gestazione per altri è stata data dall’Associazione Luca Coscioni che, come sempre, si dimostra un passo avanti in tema di diritto. La definizione insiste sul concetto di gestazione e sulla sua applicazione giuridica. Il riferimento è a quell’ecosistema in cui la GPA è consentita legalmente. Qui la donna che porta avanti la gravidanza non è considerata giuridicamente la madre dei bambini che nasceranno, per i quali – invece – i genitori sono i cosiddetti “genitori intenzionali”, coloro che hanno fatto ricorso, cioè, alla GPA. Il termine GPA, nel corso dell’ultimo periodo, è stato utilizzato in maniera sempre più frequente e questo è un bene, dal momento che – fino a qualche anno fa – questa locuzione era totalmente assente dal dibattito mainstream. Distante, fortunatamente, sia dall’espressione utero in affitto, sia da quella dei “bambini in provetta” che veniva utilizzata in maniera ancor più violenta alla fine degli anni Ottanta.