La Cina reprime le proteste pro-democrazia e Google ha giurato di non aiutare mail Hong Kong passando alle autorità i dati degli utenti. Dati che, ovviamente, potrebbero essere utilizzati per condannare ingiustamente i cittadini basandosi sui contenuti pubblicati. La severissima legge sulla sicurezza nazionale è stata approvata in seguito alle proteste di Hong Kong nell’estate 2019 e Google, lo scorso agosto, aveva promesso che non avrebbe risposto alle richieste di dati da parte del governo di Hong Kong. Ci sono stati, però, almeno 3 casi su 43 per i quali il colosso tech ha fatto un’eccezione.
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In Cina, dopo il passaggio della legge, i cittadini vengono puniti basandosi sul concetto vago di «secessione, sovversione, terrorismo e collusione». La condanna, per chi viene ritenuto colpevole, può arrivare fino all’ergastolo. Sono parecchi gli attivisti che, a Hong Kong, vengono indagati dopo essere stati accusati in tal senso. Facebook e Twitter, appena un mese dopo l’entrata in vigore della legge, hanno smesso di collaborare con il governo e Google ha affermato che avrebbe fatto la stessa cosa. L’atto di condivisione è avvenuto secondo quello che è il regolamento dell’azienda, che esamina le richieste respingendo quelle che potrebbero violare la privacy degli utenti.
Le informazioni sono state richieste in un caso per la presunta minaccia della vita di una persona, che gli inquirenti hanno ritenuto credibile, e negli altri due per indagini sul traffico di esseri umani. Con le richieste è arrivato anche un mandato di perquisizione firmato da un magistrato. Niente a che vedere, quindi, con la repressione della popolazione. Google, infatti, in casi come questo è autorizzato a fornire i dati degli utenti – anche perché non erano richieste informazioni sui contenuti degli user coinvolti -.