La lezione di Livorno: dobbiamo tenere sotto controllo i fiumi tombati. Quanti e dove sono?

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Sono stati chiusi sottoterra, ma continuano scorrere: in Italia lo fanno lungo 12mila chilometri.

L’alluvione di Livorno ha ancora una volta dimostrato la pericolosità dei fiumi tombati, vale a dire quei corsi d’acqua che nel corso dei decenni sono stati trasformati in canali sotterranei. Sopra di loro si estendono case, uffici, strade, che rischiano di venire sommerse dall’acqua se a quei rivi e a quei torrenti lo spazio che l’ingegneria gli ha destinato sottoterra non basta più. Gli effetti possono essere devastanti, come è successo a Livorno lo scorso week end. Abbiamo ragione di preoccuparcene, perché in Italia ci sono 12mila chilometri di fiumi tombati. Lo fa sapere oggi La Stampa, tracciando su una mappa della nostra Penisola tutte le situazioni più a rischio.



FIUMI TOMBATI, LA MAPPA DEL PERICOLO IN ITALIA

Sulla mappa del pericolo pubblicata da la Stampa sono segnati 16 fiumi tombati e 15 cementificati o chiusi da ponti e opere. Non è una lista completa, ma “indica solo alcuni dei casi più eclatanti”, specifica il quotidiano, aggiungendo che “la situazione è particolarmente pericolosa soprattutto nelle Regioni meridionali, dove sono state realizzate a suo tempo opere di qualità peggiore”. Ecco la lista delle situazioni più a rischio regione per regione:

LA STORIA DEI FIUMI TOMBATI

Quella dei fiumi tombati non è certo una novità: la loro invenzione risale al periodo napoleonico, dettata da ragioni sanitarie. I corsi d’acqua che attraversavano le città erano diventate delle fogne a cielo aperto, che diffondevano – oltre ai cattivi odori – anche le epidemie. Il problema è che nei decenni la pratica ha cambiato scopo: aumentare la superficie edificabile. E abbiamo costruito anche in quelle zone paludose che servivano come “casse di espansione” dei fiumi tombati, come spiega la Stampa.



Successivamente, la motivazione di queste opere di sistemazione idraulica cambiò: negli Anni 60, 70 e 80 sempre più rivi vennero coperti per ragioni urbanistiche o per permettere l’edificazione di nuove costruzioni. I corsi d’acqua non coperti ebbero argini di cemento, il loro scorrere venne regimato, rettificato, ristretto e ingabbiato, e nel loro alveo vennero costruiti ponti e a volte anche edifici d’abitazione. Le aree paludose e le cosiddette “casse di espansione” in cui un tempo i fiumi riversavano l’eccesso di acqua non ci sono più. Nelle zone all’esterno delle città il terreno agricolo è stato occupato da case, centri commerciali, capannoni industriali, parcheggi. Il consumo del suolo continua ad aumentare, amplificando il processo di impermeabilizzazione: solo nel 2015-2016 sono stati “consumati” ogni giorno una media di 30 ettari. Tre metri quadri di suolo artificiale in più ogni secondo che passa.

Ma i fiumi – abbiamo verificato a nostre spese – non sono corpi “morti”, ma “vivi”. L’acqua che non può più scendere verso le falde sotterranee perché bloccata da cemento e asfalto, da qualche parte deve pur andare. Se piove molto, l’acqua che prima scorreva in un alveo fluviale di cento metri non ce la fa a passare dentro un canale sotterraneo largo solo venti metri. Adesso che il clima è cambiato, o non piove per molti giorni, o quando piove, piove tantissimo. L’acqua che giunge nella strettoria del fiume tombato, “esplode”, e va dove ci sono le case e le persone.



Foto copertina: ANSA/ UFFICIO STAMPA PROTEZIONE CIVILE TOSCANA