Mentre il mercato delle criptovalute continua a espandersi a fasi alterne, l’Islam si pone seri dubbi sul suo rispetto dei precetti della religione musulmana.
La legge islamica pone infatti l’accento sugli scambi materiali all’interno della finanza, preferendo valute “reali” sui processi di blockchain. La confusione è tanta e interessa soprattutto i Paesi del Golfo e l’area del Sud-Est asiatico.
Nonostante solo il 20-30% degli istituti bancari garantiscano alla lettera i dettami previsti dalla Sharia, molti istituti religiosi possono giocare una notevole influenza nel concedere finanziamenti e patrocini.
Ed è così allora che le aziende operanti nel settore delle criptovalute stanno cercando di vedersi riconosciute come “legittime”. Da Dubai alla Malesia, sono già diversi i casi registrati.
“Una delle più grandi difficoltà è che c’è così tanto da parlare, e così poca certezza sul ruolo che avrà in futuro la criptovaluta“, ha dichiarato Ziyaad Mahomed dell’Istituto HSBC Amanah in Malesia.
Uno dei punti cruciali da risolvere è la natura speculativa di queste monete. Le compagnie stanno cercando di influenzare il dibattito operando attraverso strumenti basati su beni fisici e certificati ritenuti validi dai consulenti islamici.
A Dubai, per esempio, ogni unità di criptovaluta dell’azienda OneGram è supportata da almeno un grammo di oro fisico.
“L’oro è stato tra le prime forme di denaro nelle società islamiche, quindi è appropriato” – ha commentato Ibrahim Mohammed, l’imprenditore britannico che ha fondato l’istituto nel 2017 – stiamo cercando di dimostrare che le regole e i regolamenti della Sharia sono pienamente compatibili con la tecnologia digitale blockchain“.
(Foto credits: Ansa/Zumapress)