Il riavvicinamento tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle passa anche attraverso alcuni temi fatti propri dai pentastellati e cari alla sinistra di una volta. Alzi la mano chi non ha avvertito una piccola fitta allo stomaco sentendo Luigi Di Maio parlare di conflitto d’interessi a proposito di Silvio Berlusconi. «Fa un po’ senso immaginare che Berlusconi – aveva detto il leader M5S -, utilizzando le proprie tv e giornali, stia continuando a mandare velate minacce, tra virgolette, a Salvini qualora decidesse di staccarsi».
Sventolare la bandiera per eccellenza dell’antiberlusconismo è una mossa a orologeria. Che, però, dalle parti del Nazareno – ovvero di quelli che hanno sempre provato a risolvere il conflitto d’interessi senza mai riuscirci – potrebbe anche far piacere. Senza dubbio non fa piacere a Berlusconi (che da tempo ha spostato il bersaglio della sua crociata dai comunisti ai cinque stelle) che risponde piccato.
Dice una cosa che fa ridere e una cosa che fa riflettere. La prima è la dichiarazione in cui parla di un tentativo di «esproprio proletario da anni Settanta» del Movimento 5 Stelle (ma ve lo immaginate Di Maio con la bandiera rossa e i capelli lunghi andare a okkupare la sede di Cologno Monzese?). La seconda è il paragone tra il suo conflitto d’interessi e quello – presunto – di Davide Casaleggio, nuovo guru del Movimento, che ha raccolto l’eredità aziendale e politica del padre Gianroberto.
Mentre Di Maio continua a fare il D’Alema di turno parlando di come sia «arrivato il momento di metter mano al continuo conflitto d’interessi dell’informazione italiana e di dire che un politico non può possedere organi di informazione», Berlusconi smorza il suo entusiasmo parlando di un Movimento 5 Stelle che fa riferimento a «un’azienda privata, una srl di un professionista della comunicazione che non si è mai fatto votare e si muove per motivi a me sconosciuti». E il conflitto d’interessi torna nuovamente nell’agenda politica italiana.