In Italia il riscaldamento globale è già un allarme, ma nessuno sembra accorgersene

Categorie: Attualità

In Italia il riscaldamento globale avanza più velocemente che altrove: dagli anni '60 molti dei nostri comuni fanno registrare aumenti record. Tutte le variazioni provincia per provincia e comune per comune

Una corsa contro il tempo per evitare il baratro. Entro il 2030 la temperatura del Pianeta non deve crescere di 2° rispetto all’era pre-industriale. È questo l’ambizioso obiettivo siglato a Parigi nel 2015, per limitare il surriscaldamento globale del Pianeta. Oltre quella soglia, avvertono gli scienziati, le conseguenze sarebbero irreversibili per tutti noi. Un monito che ha portato ad auspicare l’obiettivo (irrealistico) di limitare l’impatto addirittura a + 1.5°.



Riscaldamento globale: perché il nostro Paese è più a rischio

E se queste sono le premesse, l’Italia sta già perdendo la sfida. Lo confermano i nuovi dati dell’ultimo rapporto Ispra sul clima. In particolare, prendendo come base la media delle temperature comprese tra 1961 e 1990 e quelle del 2018, l’Italia fa registrare un incremento di +1.71°. Siamo quasi un grado sopra il resto del globo dove la temperatura è aumentata poco meno di un grado centigrado (+0.98°).

E in molti comuni italiani la situazione è anche peggiore. Lo evidenzia uno studio realizzato dall’European Data Journalism Network che ha tracciato l’evoluzione della temperature in tutti i comuni italiani mettendo in relazione il decennio compreso tra 1960 e 1969 e quello tra 2009 e 2018. In questo intervallo il termometro nelle province italiane è aumentato di + 2.15° dal 1960, mentre ci sono comuni in cui la temperatura è aumentata addirittura di oltre 4°.



«L’Italia è al centro del Mar Mediterraneo e il Mare Nostrum si sta surriscaldando: è ormai diventato un hotspot, un caso di studio per vedere cosa sta succedendo nel mondo.Questo è un fattore che influisce ovviamente anche nell’aumento delle temperatura a casa nostra» chiarisce Edoardo Zanchelli, vicedirettore di Legambiente.c



Città e montagna: perché soffrono di più?

Sono le aree urbane quelle a soffrire maggiormente, in particolare Roma dove la temperatura è aumentata di +3.65° dal 1960, seguita da Milano (+3.34°) e Bari (+3.05°). Un fenomeno ben conosciuto, che presenta molti rischi: «Si chiama, tecnicamente, effetto ‘isola di calore’ – spiega Edoardo Zanchini- ed è legato essenzialmente a tre fattori. Il primo è l’impermeabilizzazione dei suoli: la cementificazione di strade e palazzi non permette più la traspirazione del suolo. Il secondo è che il cemento assorbe calore. La terza è che in città ci sono auto e soprattutto condizionatori che d’estate buttano aria calda, contribuendo in maniera determinante al surriscaldamento. La somma di questi tre fattori può portare a differenze di temperature anche di 3 o 4 gradi centigradi all’interno della stessa città. È una dinamica che ha anche enormi ripercussioni sociali: se si incrocia il dato climatico con quello socio-economico sulle aree più povere, si ottiene un quadro esatto delle zone dove in estate si riscontrano i tassi di maggiori mortalità, specialmente tra la popolazione anziana. Anche se non se ne parla spesso c’è un aumento della mortalità impressionante legati all’aumento delle ondate di calore».

Ma il problema del riscaldamento non è una prerogativa delle città. Sono anche le nostre montagne a non essere più le stesse. Succede che tra i dieci comuni in cui la temperatura è aumentata maggiormente in Italia sei sono in provincia di Sondrio, e più precisamente in Valtellina, uno è in Valle D’Aosta, mentre l’incremento record si registra a Martello, comune della provincia di Bolzano, dove la colonnina di mercurio ha fatto registrare un incremento di +4.5° dal 1960.

Un fenomeno sul quale ancora non si hanno certezze scientifiche, ma si possono fare ipotesi. «La spiegazione più logica è che ci sia un ‘effetto cappa’ che non permette un’efficiente ricircolo dell’aria proprio a causa degli alti rilievi e della particolare posizione geografica di aree come la Valtellina, situate al ridosso di zone altamente industrializzate – spiega Zanchini- la Pianura Padana presenta percentuali enormi di smog e polveri sottili che si possono incuneare e ‘ristagnare’ anche nelle valli alpine. La differenza di pressione e di temperatura porta spesso ad ‘aspirare’ quell’area calda. Del resto se gli esseri umani sono sottoposti a confini, l’aria non lo è».

E se queste sono le premesse c’è da registrare, anche in questo campo, la tragica arretratezza del nostro Paese, come sottolinea il vicepresidente di Legambiente: «Il nostro è l’unico paese europeo che non ha ancora un piano nazionale di adattamento al clima. Solo il comune di Bologna e quello di Milano hanno piani urbani di adattamento, ed è un ritardo che non ci possiamo più permettere».