La grande paura di WhatsApp sul DMA: «A rischio la crittografia end-to-end»

Tag:

Lo ha detto Alex Stamos, ex capo della sicurezza di Facebook

Il DMA ha uno scopo ben preciso e molto nobile. Quello di eliminare lo stradominio di Big Tech in Europa, permettendo alle altre aziende uno scatto in avanti verso la competitività e verso la correttezza del mercato. Se a tutto questo si abbinasse, effettivamente, una maggiore trasparenza sugli algoritmi, sarebbe davvero un’impresa titanica. Eppure, al di là degli annunci e delle dichiarazioni su intese appena trovate che dovrebbero licenziare un testo su cui basarsi già nel mese di aprile, al momento c’è poco di nero su bianco a proposito del DMA. Al momento – e questo è uno dei primi problemi – ci sono solo le intenzioni dichiarate. Una di queste fa tremare il sistema della crittografia end-to-end per le conversazioni che avvengono attraverso app di messaggistica istantanea.



LEGGI ANCHE > Digital Markets Act, i punti salienti e le reazioni di Big Tech

Crittografia end-to-end e DMA: qual è il punto?

Ora, sia chiaro: il sistema della crittografia end-to-end è tutto tranne che perfetto. Ci sono delle considerazioni a monte – ad esempio, la risposta alla domanda “chi custodirà il custode?” – che compromettono il principio di base della tecnologia, ovvero quello di preservare la sicurezza di queste stesse comunicazioni. Se la crittografia end-to-end protegge da terze parti, c’è sempre qualche timore di fondo per la protezione dal gestore della tecnologia. Ma queste sono considerazioni a margine. La verità è che, in base ai principi ispiratori del DMA, si sta agitando tutta una schiera di persone – non necessariamente interne a Big Tech, sia chiaro: stiamo parlando anche di non-profit che da anni si battono per la tutela della privacy ad esempio – che sostiene che la crittografia end-to-end sarà messa a repentaglio se il DMA dovesse essere approvato secondo le linee teoriche che, in questi giorni, si stanno diffondendo attraverso i canali specializzati.



Una di queste linee teoriche prevede un maggiore interscambio tra i cosiddetti Gatekeeper (ovvero quelle aziende da 75 miliardi di dollari in su) e le altre imprese più piccole, concorrenti in quel settore. Ciò significa che queste ultime dovrebbero avere accesso praticamente automatico a tutti i servizi in cui i grandi players si comportano, al momento, da monopolisti. Questo include anche la condivisione dei dati tra chi utilizza il sistema di crittografia end-to-end e chi, al contrario, non lo utilizza. È Alex Stamos, ex capo della sicurezza di Facebook, a suonare un campanello d’allarme, con un’intervista a The Verge che alimenterà sicuramente il dibattito. Secondo l’ex quadro dell’azienda di Zuckerberg, infatti: «Non c’è modo di consentire la crittografia end-to-end senza affidarsi a tutti i provider per gestire la gestione dell’identità. Se l’obiettivo è che tutti i sistemi di messaggistica trattino gli utenti l’uno dell’altro esattamente allo stesso modo, allora questo è un incubo per la privacy e la sicurezza».

Stessi dati, stesse tecnologie, stessa condivisione di sistema. Il legislatore vorrebbe bilanciare la privacy, la riservatezza delle conversazioni e la concorrenza sul mercato: sicuramente è un obiettivo quasi da repubblica platonica. Ma come si tradurrà questo principio nella formulazione pratica?