Il cimitero di Praga e quello del buonsenso

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Secondo l’Osservatore Romano e il rabbino capo della Capitale l’ultimo romanzo di Umberto Eco è pericoloso. E la storia della Chiesa  no?



Non è piaciuto proprio per niente. Umberto Eco deve farsene una ragione: “Il cimitero di Praga” non entrerà mai nelle grazie di Lucetta Scaraffia, che l’ha stroncato sull’Osservatore Romano, e di Riccardo Di Segni, che ha detto di non averlo apprezzato sull’Espresso in un dialogo con l’autore.

SCARAFFIA MY DEAR – Le accuse della Scaraffia sono sul giornale del Vaticano del 30 ottobre: il libro è



Noioso, farraginoso, di difficilissima lettura. Perfino per una persona come me, che forse capisce i suoi riferimenti storici. Del feuilleton non ha la trama avvincente, i personaggi appassionanti, l’intreccio abile da cui non ci si riesce a staccare. Su un unico personaggio, il goffo e antipatico Simone Simonini — il solo inventato del romanzo, spiega Eco — cade il peso di quasi tutti i complotti dell’Ottocento, almeno dei più noti.

E fin qui, de gustibus. A leggerlo, non pare che meriti un giudizio così netto visto che sembra uno dei migliori dello scrittore. Ma se alla Scaraffia non piace nonostante ella confessi candidamente che “forse capisce i riferimenti storici” – mica pizza e fichi – ce ne faremo una ragione. Così come ci faremo una ragione se la Scaraffia dice che Eco vuole fare troppo il secchione, descrive le messe nere con effettacci da cinema, parla male di preti, papi, socialisti, mazziniani, re e regine. Quello che puzza è invece quanto detto dopo:



Denunciare l’antisemitismo mettendosi nella parte degli antisemiti non serve a smascherarli ma solo a suscitare un crescente disgusto per la narrazione. […] Non si può negare, invece, che le continue descrizioni della perfidia degli ebrei facciano nascere un sospetto di ambiguità, certo non voluta da Eco ma aleggiante in tutte le pagine del libro. A forza di leggere cose disgustose sugli ebrei, il lettore rimane come sporcato da questo vaneggiare antisemita, ed è perfino possibile che qualcuno pensi che forse c’è qualcosa di vero se tutti, proprio tutti, i personaggi paiono certi di queste nefandezze. […] La sua ricostruzione del male senza condanna, senza eroi positivi con cui identificarsi, acquista una parvenza di voyeurismo amorale, in cui ci si può impantanare.

DI SEGNI: “CONVINCE TROPPO” – Per il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni c’è anche altro:

Penso che il messaggio di Eco sia ambiguo. […] Il lettore cosa ne capisce? E’ vero o non è vero ciò che si racconta? E questo è un esempio che vale per tutti i complotti raccontati: quelli dei massoni e quelli dei gesuiti. E anche per gli ebrei. Alla fine il lettore si chiede: ma questi ebrei vogliono o non vogliono scardinare la società e governare il mondo?

Quando poi Di Segni dice che il protagonista di Eco alla fine risulta simpatico, lui gli replica: “C’erano anche ragazze che scrivevano lettere d’amore a Pietro Maso, il parricida. Non rispondo delle perversioni altrui”. Una risposta bellissima, che però non dà ragione di tutti gli elementi del libro che sono tranquillamente lì a smentire qualsiasi decodifica (interpretazione) ‘aberrante’ dell’opera. Simonini continua a ripetere che le informazioni che fornisce le ha apprese da terzi, si bulla per tutto il romanzo di non aver mai conosciuto di persona un ebreo, spiega e rispiega che la costruzione dei documenti che spaccia per veri avviene mettendo assieme storie raccontate da altri e leggende metropolitane, quando incontra Sigmund Freud gli sembra un tipo interessante, tanto che si domanda se davvero è ebreo. Forse il rabbino Di Segni dovrebbe ricordare la genesi del nome del protagonista viene da quel Simonino di Trento il cui culto nasceva proprio dall’antisemitismo che voleva gli ebrei pronti a commettere omicidi rituali di bambini. Un antisemitismo di matrice cattolica, e una venerazione che la Chiesa stessa ha provveduto a cancellare con tutte le sue manifestazioni esteriori.

LA MEMORIA CORTA – Ma nella storia non è certo l’unico elemento che la Scaraffia e Di Segni dovrebbero conoscere. Giordano Bruno Guerri ne elenca qui qualcun altro:

[durante il secondo dopoguerra] la Chiesa di allora, a differenza di quella di oggi, continuava a ritenere l’intero popolo ebraico “deicida”. Un elemento che contribuì alla passività (e a volte all’entusiastica accettazione) della legislazione razziale fu l’atteggiamento del Vaticano. A partire dal 1938 molte testate razziste riproposero integralmente vecchi e recenti articoli antisemiti della Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti, e Roberto Farinacci poté dire, in un discorso: “Se, come cattolici, siamo divenuti antisemiti, lo dobbiamo agli insegnamenti che ci furono dati dalla Chiesa durante venti secoli. (…) Noi non possiamo nel giro di poche settimane rinunciare a quella coscienza antisemita che la Chiesa ci ha formato lungo i millenni.”

E, tanto per mettere i puntini sulle i:

Erano stati i papi, secoli prima a costringere le comunità ebraiche nei ghetti, e obbligarle a portare segni distintivi e quindi infamanti, a limitare la loro possibilità di guadagno a lavori che avrebbero suscitato odio o disprezzo verso di loro, come il prestito a usura o la raccolta di stracci. Per secoli i papi avevano mantenuto un rito consistente nel dare un pubblico calcio (neanche tanto simbolico) a un rappresentante della comunità ebraica. E solo molti anni dopo le leggi razziali, e il fascismo, è stata eliminata dal messale l’espressione “perfidi giudei”. La Chiesa si oppose alla politica antiebraica esclusivamente quando ledeva il suo ambito di azione, ovvero quando impedì il matrimonio – cristiano – fra un cattolico e un ebreo. Difese, cioè, i proprio diritti, non quelli dell’essere umano, e tanto meno quelli degli ebrei.

I POGROM DEL BUONSENSO – Ora, è difficile non accorgersi che questo tipo di comportamento era dettato da “conoscenze” e credenze perpetuata nei secoli con gli stessi metodi con cui andavano in giro quelle di Simonini, il personaggio di Eco. Ma che per fortuna oggi sono stati smontati proprio grazie all’attività di gente come lui, che nel Pendolo di Foucault spiegava perfettamente anche la genesi (ideale) del complottismo. Dire che il lettore può rimanere confuso e con il dubbio al termine del romanzo di Eco, significa pensare che chi legge non sia in grado di discernere la finzione dalla realtà, e non comprenda le centinaia di elementi che l’autore dissemina per aiutare anche il lettore più tardo. Se il feulleiton è mal riuscito, come dice l’Osservatore Romano, può anche essere. Che possa anche solo minimamente essere scambiato per un libro ‘a interpretazione aperta’ o con simpatie antisemite è una teoria che può sostenere soltanto chi non ricorda come sia nato e sia stato direzionato l’antisemitismo fino ad oggi. Idealmente, un ricordo che sia Di Segni, nella forma di discendente delle vittime, che la Scaraffia, come pronipote dei carnefici, dovrebbero avere.