Facciamo chiarezza su quanto successo allo Youtuber St3pny, perché non accada di nuovo

Categorie: Social Network

Stefano Lepri è stato il primo, ma sono molti gli youtuber e influencer che non sanno come mettersi in regola per non incorrere in problemi con il Fisco. Ecco le cose da imparare dal gamer, e da fare per non correre rischi

«Quella è una giungla». Così definisce il mondo della fatturazione legata ai contenuti del web il tenente colonnello Benedetto Labianca, e come dargli torto. Labianca è a capo del nucleo operativo provinciale della Guardia di Finanza di Firenze, salita alla ribalta delle prime pagine per la multa fatta a Stefano Lepri, conosciuto su YouTube come St3pny. Il problema però, non è l’errore del singolo, ma il difficile inquadramento per queste nuove professioni del web: dalla rete alla giungla, per l’appunto.



La scatenante: il caso di Stefano Lepri, il gamer italiano conosciuto come St3pny

A sollevare il velo in Italia sulla questione “creatori del web” è stata la multa fatta a Stefano Lepri. Lo youtuber, tra i più popolari d’Italia, non avrebbe dichiarato 600mila euro di redditi in 5 anni, evitando quindi di pagare l’Iva. «Lui è un bravissimo ragazzo, le tasse le ha pagate ma male» spiega il tenente colonnello Benedetto Labianca ricostruendo quanto successo. Ed è la stessa posizione ribadita da Lepri stesso nel suo video “non sono un evasore”: «Io le tasse le ho pagate in buonafede» dice raccontando di aver parlato in diverse occasioni negli ultimi mesi con la Guardia di Finanza per chiarire la sua professione. «La loro interpretazione è che il metodo con cui pago le tasse è semplicemente da rivedere perché non è quello corretto» «non significa che non ho pagato le tasse» chiarisce Lepri «se un giorno ci sarà da pagare la multa la pagherò, perché sono il primo che vuole regolamentarsi».



L’inghippo starebbe nella mancanza di un inquadramento professionale legato alla figura dello “youtuber”: «Non esiste una figura economica legata alla figura dello youtuber» sottolinea Labianca, e in questa area nebbiosa, qualche dichiarazione e qualche Iva va persa.

All’estero e in Italia, le nuove professioni del web richiedono un adattamento delle normative fiscali

A livello europeo e nel Regno Unito, sono state adottate norme molto precise che indirizzano la figura dei creatori sul web in un inquadramento professionale più specifico, permettendone anche una tassazione regolare. È il caso degli hashtag #advertising che abbiamo visto apparire nelle stories e nei post di Chiara Ferragni&Co. Addirittura in Inghilterra è obbligatorio scrivere anche l’hashtag #gifted per quei prodotti o esperienze che vengono “regalate” a influencer e youtuber senza obbiettivi pubblicitari.



E in Italia? Dopo le prime segnalazioni avvenute negli Usa dalle authority,  l’Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria aveva suggerito che ogni fine promozionale di un contenuto realizzato da blogger o influencer nel caso in cui non fosse «già chiaramente riconoscibile dal contesto» dovesse essere segnalato in qualche modo. Il risultato è che i contenuti sponsorizzati segnalati con hashtag sono saliti del 44%.

Come guadagnano gli Youtuber?

Gli youtuber ricevono una percentuale basata sulle visualizzazioni – solo dalle mille in su – chiamato CPM, costo per mille impressioni, ovvero la somma che viene riconosciuta a chi sfrutta la pubblicità su Yotube. A queste vanno aggiunti anche i ricavi dalle pubblicità che iniziano prima del video vero e proprio, ma solo a patto che lo “spettatore” non le salti. Su entrambe, Yotube trattiene delle percentuali.

A questi guadagni, vanno aggiunti anche le partnership e le sponsorizzazioni, dove il creator riceve un compenso proporzionale ai secondi in cui mostra il prodotto o ne parla, e i link di affiliazione, dove il creator inserisce un link per acquistare un determinato prodotto e riceve una percentuale del guadagno percepito dall’azienda sugli acquisti arrivati tramite quel link (allo stesso modo funzionano anche i codici sconto). Oltre a questi, ci sono il merchandise, le donazioni e le superchat.

Se gli introiti arrivati attraverso Google sono un affare diretto del creator mentre le altre passano attraverso un’agenzia pubblicitaria. Si pone quindi la domanda: come distinguere un contenuto “artistico” o “personale” da quello professionale?

La differenza sta nella continuità dell’attività

Semplice, dalla frequenza: ed è qui che è cascato anche Stefano Lepri, che probabilmente dichiarava quei redditi come occasionali. Caricare video su YouTube, dove ci sono regolarmente banner e adroll che generano introiti, consiste a tutti gli effetti in un “esercizio di professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica“. Non regge quindi la “cessione di diritto d’autore” sistema che, chiarisce Labianca, «funziona una tantum, ma quando parliamo di influencer e yotuber le attività sono continuative, regolari, addirittura quotidiane». Quindi «come tutte le attività professionali – continua il tenente colonnello – va assoggetta ad Iva, cosi come il dottore, il dentista…nel momento in cui arriva un provente, lui deve emettere la fattura e quindi pagare l’Iva sulla fattura».

Gianluca Adduino di Web Star Channel, factory di talenti social tra cui figura anche Stefano Lepri spiega però che «è difficile muoversi in questi casi, perché in Italia non c’è un codice professione per questi lavori». Gli youtuber nello specifico «guadagnano sulle pubblicità di Google, ma non è lo youtuber a decidere quante e quali pubblicità, che siano adroll o banner, appariranno sul video», quindi non può considerarsi un guadagno “normale”. Resta però il fatto che, caricando un video su una piattaforma, si stipula un accordo che permette a Google di inserire pubblicità e far guadagnare l’autore del contenuto.

C’è anche un ulteriore aspetto sottolineato dal colonnello Labianca:  i “creatori” del web sono i primi ad assumersi i rischi di ciò che dicono, realizzano e pubblicano sui propri canali. Significa che «non è una attività occasionale, legata ad un compenso, ma un’attività consecutiva e abitudinaria» sottolinea Labianca, dove gli autori sono «i datori di lavoro di loro stessi».

Come devo fare Youtuber e Influencer per non correre rischi

La soluzione trovata dalla Guardia di Finanza, che ha incontrato non solo Stefano Lepri ma anche molti altri Yotuber proprio per venire incontro a queste nuove professioni ed aiutare i creator in primis a mettersi in regola, è stata di aprire una partita Iva e segnalare tutto all’Agenzia delle Entrate. «Starà a loro individuare cosa va aggiustato e come creare una nuova figura professionale – conclude Labianca – il nostro lavoro è segnalare, e questo è stato fatto».

Nel frattempo, il consiglio è uno ed uno solamente: «Indubbiamente, devono aprirsi una partita iva perché sono a tutti gli effetti liberi professionisti , e devono emettere fattura, sulla quale c’è l’Iva».

(Credits imagine di copertina: Pixabay License)