Cosa scatta nella mente di chi cerca e condivide video pedopornografici online

Categorie: Attualità, Mass Media

Il profilo di questi soggetti è tracciato dall'Unità di Analisi del crimine informatico- UACI. Si tratta di un team della polizia di Stato formato da psicologi

In un mondo in cui, da qualche anno, spopolano le applicazioni per creare deep fake a partire da immagini di persone in costume da bagno; in un mondo in cui le tecnologie online sono sempre più pervasive e – quindi – più alla portata di tutti; non sorprende la diffusione e la proliferazione di fenomeni di adescamento online e di diffusione di immagini pedopornografiche attraverso le varie piattaforme. Per questo, oggi, nella giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, la reportistica che riguarda questi aspetti è in costante aggiornamento e lancia messaggi davvero poco confrontanti, soprattutto se si considera la diffusione del fenomeno. Ma è importante, allo stesso modo, fare un significativo lavoro di prevenzione e sapere che, all’interno delle autorità che vengono costantemente coinvolte nella lotta all’adescamento online e alla pedopornografia, ci siano dei team dedicati all’individuazione dei profili più a rischio per alcuni specifici crimini. Nel report diffuso oggi dalla Polizia Postale in occasione della Giornata nazionale del 2023, si concede molto spazio alla definizione del lavoro dell’Unità di Analisi del crimine informatico, l’UACI.



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Chi condivide video online e quali sono i suoi profili di pericolosità

Cosa scatta nella mente di una persona che, magari, utilizza un’app come BikiniOff per “spogliare” dei minori e per ottenere delle immagini da poter condividere in gruppi Telegram o su altre piattaforme digitali? Per quale motivo queste persone arrivano a tanto? Cosa le spinge a contattare, in una chat di una piattaforma di gaming, un minore di età prossima ai 10 anni? Un team di psicologi in seno alla Polizia di Stato – che va a formare, appunto, l’Unità di Analisi del crimine informatico – si occupa di individuare le persone più a rischio e di tracciare il loro profilo. Secondo i dati più recenti, si tratta – nella maggior parte dei casi – di persone d’età inferiore ai 49 anni.



Stiamo parlando di una percentuale del 77% delle casistiche analizzate: nel periodo compreso tra il 2020 e il 2022, infatti, l’età media delle persone che hanno diffuso contenuti pedopornografici online era di 37 anni. I target corrispondevano, invece, a diverse fasce d’età: minori di 10 anni, ma anche adolescenti. Le tecniche di adescamento utilizzate dai profili a rischio si differenziano a seconda dell’età del proprio target. Per i minori di 10 anni, lo schema è abbastanza inquietante: ci si iscrive alle piattaforme di gaming (come per esempio Roblox) e si utilizzano le chat che normalmente vengono impiegate per scambiarsi informazioni di gioco tra gli utenti per chiedere informazioni ed entrare in confidenza con la vittima. Si acquista la fiducia del minore aiutandolo a completare dei livelli di gioco, fornendogli delle monete o dei crediti con cui poter acquistare delle funzionalità aggiuntive per migliorare le proprie performance di gioco, entrando in empatia con lui a partire proprio dalla piattaforma di gioco. Se prima, insomma, si diceva di non accettare caramelle dagli sconosciuti, adesso bisogna far attenzione alle Robux (la valuta virtuale di Roblox).

Per gli adolescenti, invece, si cerca di sfruttare la loro dipendenza da social network. L’esibizione di fotografie e video sulle piattaforme, spesso, avviene per il semplice desiderio di sentirsi apprezzati o per sentirsi accettati. Chi adesca minori online punta molto su questo aspetto, avvicinando gli adolescenti o le adolescenti semplicemente a partire da commenti pubblici (o messaggi in DM, laddove se ne vede la possibilità) in cui vengono riportate quelle che, a prima vista, possono sembrare dei complimenti innocenti. Se la fiducia viene conquistata del minore, poi, viene conquistata, quest’ultimo farà davvero fatica a sottrarsi dalla conversazione: il senso di vergogna per aver concesso attenzione agli sconosciuti e, a volte, le minacce ricevute rispetto all’intenzione di denunciare queste stesse conversazioni blocca l’adolescente nel rivolgersi ai genitori o alle autorità competenti o, ancora, agli strumenti d’ascolto messi a disposizione dalle varie associazioni che cercano di contrastare il fenomeno.



Ma il lavoro dell’Unità di Analisi del crimine informatico non si limita soltanto a monitorare i profili di chi cerca contenuti di questo tipo online. Gli psicologi della polizia di Stato analizzano anche i comportamenti di chi produce i contenuti che vengono caricati su internet. E qui le situazioni, se possibile, si complicano ulteriormente: si tratta di persone che spesso sono molto vicine ai minori, si trovano nel loro stesso nucleo familiare e non hanno scrupoli a condividere materiale sul loro conto. È il dato, forse, più controverso con cui gli esperti che cercano di limitare il fenomeno devono confrontarsi: si tratta di un elemento che blocca le vittime dal denunciare gli abusi, ma – allo stesso tempo – il fatto che abusante e abusato si trovino a poca distanza l’uno dall’altro può agevolare le operazioni di geolocalizzazione, quando i contenuti vengono caricati in rete senza particolari precauzioni.