La Cassazione condanna Gabriele Leccisi per aver fatto il saluto romano durante il Consiglio Comunale

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Il fatto secondo i supremi giudici non può essere affatto considerato come «di lieve entità»

Fare il saluto romano consiste in commissione di un reato, senza e senza ma. A maggior ragione se avviene durante un Consiglio Comunale. Questa è la decisione della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna nei confronti di Gabriele Leccisi, che aveva effettuato il saluto a braccio teso durante una seduta pubblica del Consiglio Comunale dell’amministrazione di Giuliano Pisapia. A nulla pè valsa la difesa legata al contesto, che anzi consiste in un peggioramento dell’atto secondo i giudici, che hanno confermato la sentenza a un mese e dieci giorni di reclusione con pena sospesa.



La Cassazione condanna Gabriele Leccisi per aver fatto il saluto romano durante il Consiglio Comunale

Aveva cercato di difendersi contestualizzando il gesto: Gabriele Leccisi aveva effettuato il saluto romano l’8 maggio 2013, durante una seduta pubblica dell’amministrazione guidata da Giuliano Pisapia in cui si discuteva una sistemazione per i nomadi sgomberati alla fine di aprile dal campo di Viale Ungheria. Il fatto che il gesto “di protesta” fosse stato fatto durante il confronto sul piano rom, secondo l’avvocato milanese che aveva chiesto la non punibilità, sarebbe stato un motivo valido per ottenere uno sconto di pena. Posizione che i giudici non hanno affatto condiviso anzi: «sono proprio le circostanze di tempo e di luogo» a rendere il fatto ancora più grave e non affatto assimilabile ad un gesto di «lieve entità». In aggiunta, i giudici hanno sottolineato che è necessario «ulteriormente evidenziare che la seduta consiliare si svolgeva a margine della manifestazione di protesta organizzato dallo stesso imputato a Milano, in piazza San Babila», teatro negli anni della strategia della tensione di numerosi raduni neofascisti. Inoltre, viene sottolineato nel verdetto, Leccisi «effettuava il ‘saluto romano’ accompagnandolo dalla frase ‘presenti e ne siamo fieri‘», comportamento che dimostra la «precisa volontà» di «rivendicare orgogliosamente il suo credo fascista», e che era stato immortalato anche da un giornalista in un video.



Inneggiare al fascismo, hanno ricordato gli ermellini, è vietato dalla legge Mancino. Leccisi quindi si è visto confermata la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano il 17 aprile 2018, che a sua volta era convalida di quella emessa in primo grado dal Tribunale di Milano il 17 dicembre 2015.

(Credits immagine di copertina: Immagine profilo Twitter Gabriele Leccisi)