Cosa c’è da sapere sull’articolo del British Medical Journal che contesta l’integrità dei dati del vaccino Pfizer

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L'articolo è stato pubblicato il 2 novembre sulla rivista scientifica: si tratta di un articolo consultabile anche online, secondo la policy sui contenuti relativi al Covid-19. Ecco cosa dice

Per evitare di fare di tutta l’erba un hashtag (nella fattispecie, #PfizerGate è balzato in testa alle classifiche dei trend di Twitter questa mattina), occorre spiegare il contesto e dare le giuste indicazioni, anche non eccessivamente sintetiche, rispetto all’articolo del British Medical Journal che, pubblicato il 2 novembre, ha questo titolo: Covid-19: un ricercatore denuncia problemi di integrità dei dati nei trial del vaccino PfizerL’articolo, nelle ultime ore, è stato ripreso soprattutto dalla stampa francese e sta rimbalzando in queste ore in Italia, con il solito tono critico nei confronti delle case farmaceutiche che – nell’ultimo anno – si sono adoperate affinché i vaccini contro il coronavirus arrivassero in tutto il mondo (anche se la distribuzione tra Paesi ricchi e Paesi poveri è un punto critico).



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British Medical Journal scrive un articolo di denuncia contro i trial del vaccino Pfizer

Cosa c’è scritto nell’articolo. Si tratta innanzitutto di un contenuto messo a disposizione – pubblicamente – a tutti gli utenti del sito internet della rivista scientifica. Il British Medical Journal è storicamente considerato come una delle quattro riviste scientifiche più autorevoli al mondo con New England Journal of Medicine, The Lancet e Journal of the American Medical Association. Il fatto che il suo contenuto sia pubblico e accessibile a tutti rientra nelle policies dell’editore che – per favorire una corretta informazione sul Covid-19 – ha aperto la sezione dedicata, rendendola disponibile a chiunque abbia voglia di approfondire le varie tematiche trattate.



Quali sono le prove su cui si basa l’articolo? Non si tratta di studi medici o di letteratura clinica o – ancora – di analisi effettuate ex post. In realtà, l’articolo del British Medical Journal è una pubblicazione scientifica non particolarmente convenzionale, dal momento che si basa sulla rivelazione di un ex direttore regionale che era stata impiegata presso l’organizzazione di ricerca Ventavia Research Group, che ha collaborato con Pfizer nei trials per la sperimentazione del vaccino.

Si tratta di Brook Jackson, che aveva inviato un reclamo tramite e-mail alla Food and Drug Administration (FDA) statunitense quando aveva segnalato ripetuti problemi all’interno del laboratorio regionale che gestiva. Nello stesso giorno in cui ha inviato questo reclamo, Ventavia l’ha licenziata. Dunque, Brook Jackson ha deciso di condividere diversi documenti e del materiale fotografico al British Medical Journal che – sulla base di questo materiale – ha realizzato l’articolo. Nel testo si parla di una cattiva gestione del laboratorio per i trials clinici, di problemi di sicurezza dei pazienti e di problemi di integrità dei dati (nella fattispecie, partecipanti potenzialmente non ciechi perché i numeri identificativi erano stati lasciati incustoditi). Nell’articolo, tuttavia, si sottolinea che dal mese di settembre è stato effettuato un correttivo per ovviare a questo problema.



Si evidenziano anche altre negligenze, come ritardi nella consegna dei dati rispetto alle tabelle di marcia previste. In una denuncia della Jackson si afferma anche che a un membro dello staff era stato «consigliato verbalmente di modificare i dati e di non sottolineare l’inserimento tardivo degli stessi nel database».

La differenza tra Ventavia e Pfizer: il rischio della “parte per il tutto”

C’è da sottolineare – comunque – un’altra parte molto importante dello studio che, nelle ricostruzioni della stampa si tende a mettere ai margini. Ovviamente Ventavia non è l’unica società che ha partecipato ai trials per il vaccino Pfizer. Lo studio completo (registrato con NCT04368728) ha arruolato circa 44.000 partecipanti in 153 siti che includevano numerose aziende commerciali e centri accademici. La FDA (l’ente regolatore statunitense) ha controllato nove di questi 153 siti, non rilevando problemi. Vero è che non sono stati controllati i laboratori relativi a Ventavia.

Ora, i termini corretti per parlare della vicenda – al massimo – dovrebbero riguardare Ventavia e non la totalità del gruppo Pfizer (visto che è di questo che si parla nell’articolo del British Medical Journal) e, soprattutto, non si può partire da un caso che – se confermato – sarebbe evidentemente di cattiva gestione del processo per invalidare l’intero processo di verifica e sperimentazione del vaccino Pfizer o – peggio ancora – dei vaccini in generale. La lettura consapevole dell’articolo del BMJ è importante, ma occhio alle generalizzazioni.

FOTO: IPP/zumapress