I bonghi per silenziare il comizio degli invisibili: la Lega spiegata con un post Facebook

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La denuncia del sindacalista Aboubakar Soumahoro: il partito di Salvini ha pubblicato un video Fb dove i suoi interventi sono coperti con dei bonghi. Una provocazione razzista che ci racconta molto del partito dell'ex ministro dell'Interno

Che la comunicazione Facebook della Lega di Salvini non fosse un esempio di sobrietà ce n’eravamo accorti da tempo. Che fosse un calderone di meme allarmisti, video non verificati dall’eco vagamente razzista e una piattaforma trovano spazio gogne mediatiche contro il nemico di turno anche. Difficile però, anche per il più accanito dei militanti che si definisca democratico e antirazzista (non parliamo di virtù, ma di principi basilari della nostra Costituzione)  giustificare l’ultima provocazione della piattaforma leghista. La denuncia viene dalla pagina di Aboubakar Soumahoro, sindacalista da sempre impegnato contro la piaga del caporalato e nei diritti degli invisibili.



La denuncia di Aboubakar Soumahoro

Cosa è successo? La pagina ufficiale del premier (Lega Salvini Premier)  ha ripreso un intervento di Aboubakar e di altri sindacalisti agli “Stati Generali” di inizio luglio, e ha coperto il loro intervento con il suono (in crescendo) di alcuni bonghi. Una provocazione che ricorda, da vicino, la propaganda di stampo razzista: deridere l’avversario per il suo colore della pelle, far riferimento a dei ritmi tribali per screditarlo, concentrarsi sulla repulsione istintiva piuttosto che sul vaglio razionale delle sue parole. Tecniche collaudate da regimi orribili che ci hanno preceduto e che credevamo di esserci lasciati alle spalle.



Una provocazione che Aboubakar non vuole far cadere nel vuoto e lo fa con argomentazioni sindacali inclusive, rigettando il semplice “noi” contro “voi”, e non cadendo nel tranello della comunicazione leghista: «Sen. Matteo Salvini, è sconcertante che un Senatore della Repubblica abbia silenziato, con dei bonghi, il grido di dolore degli invisibili della Whirlpool, dell’ex ILVA, dell’Alitalia, della musica, dello spettacolo, della scuola, riders, braccianti, senza casa, disabili, discriminati e tanti altri che si sono susseguiti sul palco degli #StatiPopolari, lo scorso 5 luglio a San Giovanni a Roma».

Franco poi il richiamo ai valori della Costituzione che, singolarmente, un ex ministro dell’Interno dimostra di non conoscere: «Questa manipolazione ingannevole della realtà, oltre ad inquinare il dibattito pubblico, rende ulteriormente invisibili gli invisibili. Ho dato mandato ai legali di intraprendere ogni azione che possa contrastare, anche legalmente, una propaganda che viola i principi della nostra Costituzione. CI VEDREMO IN TRIBUNALE».



Ma a guardare più a fondo questa provocazione mette in luce la vera anima della Lega. Prendendosela con un gruppo di lavoratori e anteponendo la paura degli immigrati al (giusto) riconoscimento dei diritti dei tanti sfruttati il partito di Salvini si configura come un partito fintamente popolare e realmente padronale, più interessato al mantenimento delle logiche di sfruttamento e abbassamento del costo del lavoro che Aboubakar denuncia da anni, che al reale miglioramento della condizione dei lavoratori, neri o bianchi che siano.

Post come questi, rendono un servizio impagabile al peggior capitalismo italiano di sempre: quello che preferisce fare leva sui salari bassi dei lavoratori e sulla presenza degli invisibili, piuttosto che agire sull’innovazione e sulla produttività. Agitare costantemente lo spettro del diverso e giocare sulle paure della gente, per mantenere tutto com’è, non vuol dire essere “popolari”. Anche la demagogia, a volte, ha le gambe corte.