Il bike-sharing è arrivato a Roma. E questa è cosa buona e giusta. La Capitale rischiava seriamente di essere l’unica grande città europea priva di questo fondamentale servizio. Colorate biciclette hanno invaso le strade romane, pronte a essere condivise tra gli utenti. Funziona in maniera semplice: si scarica un’app, si sblocca la bicicletta più vicina grazie alla lettura di un QR-code, si pedala e poi si paga – a seconda delle comunque convenienti tariffe dei vari gestori – al momento del parcheggio.
Un servizio essenziale per ogni città moderna, che può rappresentare davvero un toccasana per risolvere gli annosi problemi di traffico e inquinamento. Le biciclette – è noto – sono le principali alleate della mobilità sostenibile. Basta leggere il rapporto di Legambiente A-Bi-Ci del 2017 (che si riferisce a dati del 2015) per capirne l’importanza: oltre 6 milioni di euro di fatturato del mercato delle due ruote, 1 milione di euro di benefici sanitari dovuti a un regolare utilizzo della bicicletta, oltre 120mila euro di risparmi sul carburante, 430mila euro di risparmi dovuti alla riduzione dei costi sociali dell’emissione di gas serra.
Sono soltanto alcuni numeri ai quali un oculato servizio di bike-sharing può senz’altro contribuire. Attualmente, a gestire questo servizio nella Capitale sono alcune start-up, come OBike e Go-Bee-Bike. Si tratta di aziende private, che non hanno alcun rapporto con le amministrazioni comunali e che hanno a disposizione i permessi necessari per poter mettere in piedi il servizio in città. Tuttavia, a fronte di un progetto che si presenta come ecologico, ambientalista e positivo per la salute sociale, c’è già chi ha iniziato a storcere il naso.
Molte volte, infatti, le biciclette utilizzate dai vari utenti vengono abbandonate in maniera non proprio ortodossa, nei luoghi più improbabili della città: nel bel mezzo dei marciapiedi, a ridosso dei muri delle case, in mezzo alle aiuole, persino accanto ai cassonetti dell’immondizia. Qualcuno ha già iniziato a parlare di «parcheggio selvaggio», mentre sono diverse le segnalazioni di episodi di vandalismo che coinvolgono le stesse biciclette.
Come si fa a risolvere questo problema? «Innanzitutto con la sensibilizzazione dei nostri clienti e con la nostra community – racconta a Giornalettismo il referente di OBike, che ha messo a disposizione della cittadinanza 1300 biciclette -: noi premiamo con incentivi economici gli utenti che ci segnalano le cosiddette soste selvagge, basiamo la nostra campagna di comunicazione sul rispetto delle regole e sul corretto posizionamento dei mezzi».
Eppure, tutto questo non basta – al momento – per cancellare il fenomeno del parcheggio casuale. «Certo, l’ideale sarebbe che il comune predisponesse, con costi bassissimi – prosegue il referente di OBike -, dei quadrati di vernice dove poter collocare le nostre biciclette, ma la spesa non può ricadere sugli operatori che offrono questo servizio».
La precisazione è d’obbligo, perché qualche tempo fa il comune di Torino (altra città dove OBike opera) aveva lanciato una manifestazione d’interessi per la realizzazione di queste aree di sosta, con la condizione che i gestori del bike-sharing partecipassero alle spese. «Riteniamo che ciò non sia possibile – spiegano da OBike – perché noi già mettiamo a disposizione della città un servizio volto a migliorare le condizioni di vita. Non possiamo addossarci costi supplementari».
Nell’attesa, per evitare che ignari passanti inciampino in biciclette parcheggiate male, che gli amministratori di condominio sollevino una mini-rivolta per i mezzi parcheggiati a ridosso dei muri dei palazzi, che le aiuole diventino un ammasso indistinto di telai e copertoni, non c’è altro da fare se non appellarsi al buon senso degli utenti. Il bike-sharing ci salverà. Ma il corretto utilizzo del bike-sharing ci renderà anche persone migliori.