Bella, mora e dice sempre sì (al giudice)

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Sabrina Minardi: dalla Banda della Magliana al cardinal Marcinkus, dal grande banchiere al calciatore. Storia di una escort di classe ma con troppi pieni e vuoti di memoria



Il suo personaggio in Romanzo Criminale è quella della “mejo prostituta de Roma”, tanto “mejo” da affascinare il Dandi, che gli rimarrà a suo modo (e cioé da sposato) fedele fino alla morte. Nella realtà, il rapporto tra Sabrina Minardi e Renatino De’ Pedis fu un po’ meno romantico. Ma a sentire quello che racconta lei, sembra davvero di ritrovarsi in un’epopea in cui si mischiano preti (Marcinkus, Poletti) e delinquenti (la Banda della Magliana, sempre Marcinkus), faccendieri affaccendati (l’onnipresente Flavio Carboni) e calciatori che scommettono (Bruno Giordano).

LA MORA E IL PADRINO – Lei entra in scena direttamente da Trastevere vecchio, dalle parti di piazza San Cosimato fino a vicolo del Cinque, per capirci. In quella zona conosce il “Re del Goal”, come lo chiamavano, e lo sposa meritandosi così la prima pagina del Corriere dello Sport. E’ il 16 giugno del 1979, e due anni dopo il matrimonio è già finito nonostante sia nata Valentina. Nel frattempo, è il 13 settembre 1980, proprio a piazza San Cosimato ci ha lasciato la pelle Franchino Er Negro, alias Franco Giuseppucci: due fratelli Proietti, i “pesciaroli” di Ostia, sono scesi da una moto Honda con due parrucche bionde, e ben armati: uno con la pistola, l’altro con un fucile a canne mozze, che però si inceppa. Solo il revolver lo colpisce, mentre Giuseppucci innesca la retromarcia e poi guida per una decina di metri fino all’ospedale Nuovo Regina Margherita, che all’epoca stava a due passi. Lo trasportano in sala operatoria con l’urgenza, ma muore alle otto di sera. Fernando e Maurizio Proietti vendicavano così un dispetto del Negro, che gli doveva trenta milioni persi ai cavalli. E glieli voleva anche dare, se non fosse che Fernando glieli aveva chiesti poco gentilmente. Allora lui si era impuntato: “Nun ve pago, nun me fate paura”. Morto Giuseppucci, l’associazione di stampo mafioso mai riconosciuta come tale e denominata giornalisticamente come Banda della Magliana si trovò per un po’ senza testa, e impegnata a vendicare Giuseppucci ammazzando o attentando alla vita di molti dei fratelli Proietti. Intanto però Renatino De’ Pedis ha anche incontrato, nella primavera del 1982 alla Cabala, localino di piazza Navona, proprio Sabrina Minardi, e le ha mandato al tavolo un mazzo di rose e una bottiglia di champagne. «Mi trattava come una bambina, mi portava alla sauna del Grand Hotel, vivevamo come nel film Il Padrino. Mi faceva mille regali, valigie Louis Vuitton piene di banconote da 100 mila lire, mi diceva spendili tutti, se ritorni a casa senza averli spesi non ti apro la porta — così ha raccontato Sabrina due anni fa a Raffaella Notariale di Chi l’ha visto? —. Andavo da Bulgari, da Cartier, pagavo in contanti per due orologi d’oro, i commessi mi guardavano preoccupati, pensavano che fossero il bottino di una rapina. Ma io li tranquillizzavo, dicevo loro: Me li dà mio marito, sapete, è un tipo stravagante… ». I primi due anni sono di «grande passione», dice Sabrina, fino a quando — novembre ’84 — Renatino viene arrestato dalla Squadra Mobile proprio a casa di lei, in via Elio Vittorini, all’Eur. Dove, raccontano le cronache intrecciandosi con la leggenda, De’ Pedis favoleggiava di registrare le prestazioni sessuali di clienti vip (tra cui anche politici) della Minardi, per poi ricattarli.



IL MONSIGNORE E IL BANCHIERE – Renatino spende e spande, va in giro con un’Excalibur, che voleva sembrare nella sua testa l’automobile di Zio Paperone. Tanto per inquadrare il tipo. E Sabrina? Sabrina dice che nel giugno del 1981 ha già conosciuto Roberto Calvi, una sera, a casa di Flavio Carboni. Lo racconta nel libro Segreto Criminale, e il giorno dopo lui si presenta sotto casa sua, con la limousine dal terzo scompartimento, dove lei sale in vestaglia. Che spettacolo. “Lui mi ha regalato anche una villa a Montecarlo. Gli serviva una prestanome, sia chiaro, ma poi la villa è rimasta a me, per questo me l’ha regalata. E mi ha prestato l’aereo per portare mamma a Parigi dove faceva chemioterapia. E poi mi riempiva di gioielli e cose così, ma è durata poco, perché a distanza di qualche mese, nemmeno un anno, è morto”, dice Sabrina. Sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. Mentre lei, sempre secondo quanto racconta, frequentava anche Monsignor Marcinkus: “Certo che l’ho conosciuto… non so che cosa gli avessero detto, se gli avevano detto o meno che ero una tipa allegra e carina con chi era generoso, insomma, ma lui voleva stare con me…e io ci sono stata. Però evidentemente Flavio gli aveva parlato di me, gli avrà forse detto che ero di facile reputazione, perché lui, il pretaccio, fu molto diretto. Non usò preamboli”. E via con il racconto dei favori, come far entrare un cugino a lavorare al Vaticano, e con i soldi che Renatino faceva portare tramite lei in una borsa Louis Vuitton, che Sabrina teneva per sé.

E PURE I CARDINALI – Tutte storie che Sabrina non ha raccontato al processo per l’omicidio Calvi, perché il giudice ha ritenuto di non doverla ascoltare. Parla anche del segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli, e il cardinale Ugo Poletti. Il quale, si sa, conosceva De Pedis: lo aveva visto “ragazzino”, mentre faceva il suo servizio dei sabati ai carcerati, anche i più giovani. Tra la mejo gioventù di Roma c’era ovviamente anche Renatino, che con Poletti strinse una conoscenza, non un’amicizia visto quanto dovevano essere diversi i due, per ruoli, lavori e funzione. Ma dal vescovo vicario di Roma arrivò anche la famosa autorizzazione al seppellimento a Sant’Apollinare, che ancora oggi fa tanto scandalo e ha messo in difficoltà il Vaticano per la richiesta di riesumazione del corpo arrivata dalla procura di Roma che sta indagando sul caso di Emanuela Orlandi. Secondo Carla, la vedova di Renatino, che lui sposò negli anni Ottanta mentre frequentava ancora la Minardi, era lei ad avere un rapporto particolare con la chiesa e il suo parroco, e lei ha perorato la causa del seppellimento in loco. De’ Pedis, in vita, aveva comunque donato milioni su milioni alla Chiesa per le opere pie, proprio grazie all’interessamento di Carla. Secondo Margherita Gerunda, il giudice istruttore che per primo si occupò del caso Orlandi, De’ Pedis invece era figlio segreto di un nobile la cui famiglia era seppellita nella cappella, e per questo ci teneva tanto ad essere seppellito lì, tanto da lavorarsi monsignor Pietro Vergari fino alla “raccomandazione” nei confronti di Poletti.



MA ANCHE IL GOBBO MALEFICO – E poteva mancare il Divo Giulio? “Due volte ci sono andata… Renato ricercato…la macchina della scorta sotto casa di Andreotti della polizia… siamo andati su…eh… accoglienza al massimo…c’era pure la signora… la moglie…una donnetta caruccia… ovviamente non parlavano di niente…”. E mica solo lui. “Il cadavere di Emanuela Orlandi – secondo il raconto fatto dalla donna ai pm della procura di Roma Italo Ormanni, Andrea De Gasperis e Simona Maisto che l’hanno ascoltata ascoltata – fu portato da De Pedis, in auto chiuso in un sacco a Tor Vajanica, località sul litorale vicino Roma. In quell’auto si trovavano la stessa testimone, all’epoca amante di De Pedis, e un’altra persona. Nell’auto, chiuso in un altro sacco, secondo la testimone fu trasportato anche il corpo di Domenico Nicitra”. Ovvero, il bimbo di 11 anni, figlio di Salvatore, imputato al processo alla banda della Magliana, che scomparve a Roma assieme allo zio Francesco nel giugno del 1993. Undici anni dopo la Orlandi. Un’incongruenza bella e buona. Così come è strano che la donna, che nel 1979 si è appena sposata con Giordano, nel 1981 sia già la donna di Calvi, quando ancora non ha conosciuto Renatino, e nel 1982 si è infilata nel letto di Marcinkus. Così come le altre testimonianze che oggi indirettamente confermano quella della Minardi – l’ultima è quella di Maurizio Giorgetti – arrivano dopo anni di distanza dai fatti e tradiscono una buona lettura dei giornali di questi tempi, senza però rivelare mai nulla di più rispetto ai particolari già noti, per una maggiore credibilità. Sembra che in quel periodo il ristorante Il Porto, dove Giorgetti aveva sentito parlare i due affiliati del sequestro Orlandi, fosse chiuso, già da alcuni mesi. Persino chi indicava di andare a guardare “nella tomba di Renatino” per ritrovare il corpo della Orlandi era persona che aveva ottimi motivi per avercela con gli attuali indagati e con De’ Pedis.

DIRE SEMPRE SI’ – Di qui l’intenzione degli inquirenti, trapelata la settimana scorsa, di non ispezionare la tomba di De’ Pedis nella basilica di Sant’Apollinare, malgrado l’ok del Vaticano sia arrivato dallo scorso luglio. E di considerare inattendibile il Giorgetti, che va in giro per i blog a lasciare commenti del tipo: ” DAL FASCISTA GIORGETTI MAURIZIO SI ASPETTI SEMPRE LUCE, CHIAREZZA, FEDELTÀ, HAI 18 PUNTI DI VERONA, NON ASSOCIANDOLO IN MANIERA, IRRESPONSABILE, CON LA SCICOLONE, TILGHER ED ALTRI, CHE NON HANNO NEL LORO DNA I 18 PUNTI DI VERONA. IN ALTO I CUORI. GIORGETTI MAURIZIO”. Prove? Pochine, anzi quasi zero. Mentre dalla perquisizione del famoso covo di via Pignatelli, dove doveva essere stata custodita la Orlandi, non è uscito nulla, finora. Anche perché è difficile non notare che per tutti i racconti che vengono fuori, il dato più interessante è l’assenza totale di elementi che possano in qualche modo essere verificati estrinsecamente dagli inquirenti. Dire sempre di sì, ai giudici e ai giornalisti, può servire nel breve periodo. Ma l’impressione, insomma, è che ad oggi i racconti della Minardi, oltre a non avere riscontri oggettivi, costituiscano un caso più psichiatrico che giudiziario.