Vorrei la pelle bianca

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Perché milioni di donne nel mondo vogliono schiarire il colore della loro pelle? Ancora oggi bianco è meglio. Si discute sei si tratti di un lascito coloniale, ma non è un relitto, è attualità. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità le nigeriane sono le più dedite alla pratica

Perché milioni di donne nel mondo vogliono schiarire il colore della loro pelle? Un recente articolo di BBC intitolato Africa: Where Black is not really Beautiful (Africa, dove il nero non è proprio bello) ha scatenato un acceso e sentito dibattito su una pratica che ribadisce una supremazia bianca e s’interroga sulla sua natura.



UN’EPIDEMIA – Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le nigeriane sono le più dedite alla pratica, il 77% di loro consuma regolarmente prodotti per lo sbiancamento della cute. Seguono le cittadine del Togo con il 59%, quelle del Sudafrica con il 35%, mentre in Mali sono al 25%. Lo fanno perché vogliono “la pelle bianca”, come ha ribadito pubblicamente anche una grande testimonial della pratica, l’artista sudafricana Nomasonto “Mshoza” Mnisi, che ha difeso la sua scelta come una soddisfazione della sua autostima, al pari di un qualsiasi altro intervento estetico, e infatti si è anche sottoposta a interventi chirurgici per avvicinare i suoi lineamenti a quelli caucasici. Michael Jackson è ormai morto e il terrificante esito del suo analogo tentativo di sbiancamento evidentemente non ha avuto una gran funzione deterrente.

MOLTO PERICOLOSO – I pericoli per la salute sono alti, il commercio di quel tipo di creme è proibito in molti paesi dell’Asia e in quasi tutto l’Occidente, ma non ne è proibita la produzione e quindi, proprio da questi paesi sono prodotte ed esportate in Africa, dove legalmente o clandestinamente finiscono sui mercati del continente con il paradossale risultato di drenare una discreta quantità di ricchezza verso l’estero, il tutto per importare prodotti dalla riconosciuta tossicità e pericolosità. Una pericolosità testimoniata dall’impennata di casi di ocronosi, malattia che colpisce la cute a lungo sbiancata, facendola diventare viola e rovinandola anche ben oltre lo sgradevole effetto cromatico, ma che si estende fino alle leucemie e ai tumori a reni e polmoni.



DAGLI ALLA DONNA – Particolarmente centrata in questo caso mi è parsa la critica da parte femminile che si è chiesta se, pur individuando correttamente alcune variabili culturali che l’alimentano, il dibattito non si stia limitando a fare del semplice sensazionalismo sul fenomeno e a gettare la croce sulle donne. Non pare infatti che possa essere la “mentalità coloniale” il punto della questione, come invece sostenuto da molti. Per “mentalità coloniale” s’intende quella che spingerebbe molti africani a ritenere intimamente superiori i prodotti, i paese e i cittadini dei paesi a maggioranza bianca e in particolare quelli europei.

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UNA PASSIONE – Il fenomeno è noto e alimenta ad esempio anche il perverso commercio della “Mitumba”, i vestiti usati nei paesi dei bianchi, che molti africani preferiscono comprare al posto degli stessi vestiti nuovi prodotti in Asia e venduti a prezzi inferiori. Quelli che infiliamo nei contenitori delle associazioni caritatevoli, gestiti da grossisti che poi li spediscono in Africa e alle chiese e alle associazioni danno due soldi per la gentile concessione del marchio, utile a stimolare la collaborazione dei loro fornitori che gentilmente alimentano i contenitori.

LA DE-AFRICANIZZAZIONE – Molti africani sembrano intenti a de-africanizzarsi e molti addirittura a sbiancarsi, ma non è affatto un affetto del perverso quanto reale lascito culturale dei colonizzatori, che condividono con gli asiatici, quanto piuttosto il riconoscimento implicito di una realtà nella quale essere nero è ancora oggi per molti un disvalore, anche in Africa.

IL BIANCO VINCE – La bianchitudine offre vantaggi innegabili sulla negritudine in ogni contesto, anche in Africa un ascendente bianco nobilita il lignaggio, quelle e quelli che si sbiancano la pelle non lo fanno per un vezzo, ma perché vivono in società che hanno privilegiato la bianchitudine e continuano a farlo, così come continuano a privilegiare l’identità maschile su quella femminile.

IL NERO PERDE – Chiaramente la corsa allo sbiancamento rappresenta anche una ferita all’identità nera e un suo tradimento, almeno nella misura in cui riconosce e riafferma una superiorità bianca, ma ridurre il discorso al ritratto delle ingenue africane che trovano più bella la pelle bianca appare estremamente limitante e fuori bersaglio. Errore comunque insufficiente a condannare  quei gruppi di donne che reagiscono in nome del “nero è bello” e danno battagli a allo sbiancamento, e non solo perché se non altro svolgono un’opera meritoria per la salute pubblica. E non solo perché poi il mainstream africano è a sua volta pesantemente “candeggiato” e converge verso i modelli estetici offerti dalla bianchitudine, proponendo star che s’allontanano invariabilmente dal canone africano,  dalle tonalità più scure della pelle come dai capelli crespi. Infatti poi per domare i capelli crespi è fiorito un analogo import di prodotti chimici alliscianti e di extension lisce, che sono applicate persino alle bambine, che quindi spesso crescono con imprinting destinati a perpetuare il fenomeno.

L’EFFETTO-OBAMA – L’elezione di Obama alla carica di presidente dell’unica superpotenza mondiale non ha  rallentato la diffusione del fenomeno, ma semmai l’ha alimentato, perché Obama ha una mamma bianca e non è poi così nero, confermando che “meno nero” è comunque meglio di “più nero”. E a ben vedere  l’esempio degli Stati Uniti conferma che essere più bianchi è meglio, anche nel 2012.

IL SUPREMATISMO – È meglio prima di tutto sul piano brutalmente utilitaristico, perché nonostante molta acqua sia passata sotto i ponti dai tempi dello schiavismo, il potere è ancora bianco e il pregiudizio contro i neri è ancora fortissimo e non ha mai smesso di essere alimentato. Lo è in Africa, dove la maggior parte dei paesi sono oppressi da dittatori neri i fili sono tirati dai paesi dei bianchi e lo è negli Stati Uniti, anche se sembrerebbe che le cose siano cambiate o stiano per farlo. È vero che si sono visti neri ricoprire tutte le maggiori cariche pubbliche statunitensi, ma è altrettanto vero che lo stesso Obama era l’unico (quasi) nero in tutto il senato, che oggi ne ha ancora uno solo. Solo sette neri sono entrati in Senato in tutta la storia degli Stati Uniti e coprendo solo sei mandati, è nero infatti il senatore che subentrò ad Obama per il resto del suo mandato, quando questi fu eletto presidente nel 2008.

LA CHIAVE DEL POTERE – Il dato del Senato è moto più importante di quanto non sembri, alla Camera i neri sono 42 su 435 e mantengono una rappresentanza abbastanza vicina al loro peso demografico, fanno molto meglio delle donne che arrivano appena a 78 seggi nonostante siano più o meno la metà degli americani.  Ma la differenza con il Senato non la fa solo il fatto che le donne arrivino a 20 su 100 più o meno come alla Camera mentre i neri si riducono a un misero 1%, ma il fatto che i deputati hanno un mandato di appena due anni, mentre i senatori sono eletti per sei lunghi anni, un mandato che è il 50% più lungo persino di quello del presidente. Il senato americano per di più ha poteri superiori a quelli della camera ed esclusivi, approva i trattati prima che siano ratificati, ha l’ultima parola sulla nomina dei ministri, dei giudici federali, di molti ufficiali pubblici, dei militari di più alto grado, dei membri delle authority e anche degli ambasciatori.

L’UOMO BIANCO PRENDE TUTTO  – Non è difficile capire quale sia il bastione del potere bianco e maschio negli Stati Uniti e non è difficile capire che la vicinanza culturale e di classe tra questa robustissima maggioranza di maschi bianchi (e molto ricchi) e quella analoga ai vertici dell’economia mondiale, rappresenta agli occhi di chiunque la voglia vedere l’impersonificazione del potere bianco e maschio che controlla la maggior parte dell’economia e delle ricchezze mondiali e la più poderosa macchina militare del pianeta. Non è difficile notare come in fondo il panorama non cambi spostandosi negli altri paesi a maggioranza bianca, dove comunque essere nero è un handicap reale con il quale chi è nero si trova a combattere, anche in Africa. Dove peraltro la condizione della donna è ancora pessima a prescindere dalle leggi pur “moderne” e rispettose della parità di genere che molti paesi hanno approvato da tempo, se c’è qualcosa che ha unito le culture africane a quelle dei colonizzatori è stata proprio la comune impostazione ferocemente patriarcale.

NON E’ COLPA DELLE AFRICANE – Inutile e anche un po’ perverso quindi attaccare o deridere quelle donne che rischiano la salute, peraltro nell’indifferenza delle autorità, per illudersi di salire qualche gradino in una scala sociale che, in quanto donne e nere, le penalizza severamente anche e forse di più nei paesi africani

NOTA BENE: Ai fan di Jackson che si sono precipitati all’insulto, ricordo che è pacifico che si facesse iniezioni sbiancanti: “He also had hydroxychloroquine injected directly into his scalp regularly”. Alcuni fan mi hanno scritto che “non esistono prodotti sbiancanti” ripetendo le sue parole in un’intervista del 1993, ma si tratta di un falso clamoroso, come testimoniano i link che ho messo a disposizione anche sopra. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di un traffico miliardario non possono certo essere smentiti dalle affermazioni di  una star in auto-promozione o dai deliri dei fanatici che ne difendono la memoria in maniera tanto scomposta. Incidentalmente, da nessuna parte nell’articolo scrivo che Jackson fosse razzista e tantomeno condanno la sua scelta, per me poteva anche aver cambiato sesso e non sarebbe stato un problema. Così non pare sia per i suoi fan, che lo difendono dalla “colpa” di aver voluto allineare il suo aspetto fisico a un immagine che lo facesse star bene. Niente di grave, ma prima di dare del razzista e dell’ignorante a chi scrive, sarebbe bene usare il cervello per cercare di capire di cosa e come se ne parla.

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