È un boomerang. Il classico masso che cade nell’acqua e solleva onde e schizzi, andando a bagnare persino chi lo ha lanciato. La notizia che la Reuters ha lanciato nella tardissima serata di ieri, ovvero che Meta ha permesso temporaneamente post di hate-speech nei confronti dell’esercito russo, ma anche nei confronti di Vladimir Putin e del suo alleato Alexander Lukashenko, è stata sicuramente una mossa a sorpresa nell’ambito della già complessa situazione comunicativa che stiamo vivendo a proposito del conflitto in Ucraina. E ha offerto il fianco alla diplomazia russa per attaccare pesantemente l’azienda di proprietà di Mark Zuckerberg che è stata definita autrice di «attività estremiste».
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In una nota di un portavoce di Meta, si spiega chiaramente che espressioni come morte agli invasori russi potranno essere utilizzate in diversi Paesi del mondo: in Ucraina, sicuramente, ma anche negli stati al confine con il Paese invaso e in alcuni Paesi dell’Unione Europea e della Nato. Tutto questo ha causato una vibrante protesta dell’ambasciata russa a Washington che si è rivolta direttamente alla Casa Bianca affinché possa fermare le cosiddette «attività estremiste» di Meta.
«Chiediamo che le autorità statunitensi fermino le attività estremiste di Meta, prendano misure per assicurare i colpevoli alla giustizia. Gli utenti di Facebook e Instagram non hanno concesso ai proprietari di queste piattaforme il diritto di determinare i criteri di verità e mettere le nazioni l’una contro l’altra» – ha scritto in un tweet l’ambasciata russa a Washington. Si tratta di una protesta che apre un fronte inatteso – causato da un autogol diplomatico senza alcun senso – nell’ambito della disfida delle comunicazioni tra la Russia e i media occidentali.
Nei giorni scorsi c’erano state delle limitazioni alla diffusione dei contenuti filo-russi o dei media affiliati allo stato russo su Facebook, Instagram, ma anche su altre piattaforme esterne a Meta. Queste sanzioni avevano avuto come risposta il ban di Facebook dalla Russia (e anche di altre piattaforme esterne a Meta). Ma il fatto di consentire, sebbene temporaneamente, l’incitamento all’odio nei confronti dei soldati russi, delle istituzioni e dei russi intesi come aggressori è qualcosa che si spinge oltre e che, dunque, offre alle ambasciate russe – nell’occhio del ciclone per aver diffuso, soltanto ieri, delle fake news sull’attacco all’ospedale di Mariupol – un appiglio per sedersi al tavolo delle trattative rispetto all’ecosistema della comunicazione del conflitto.