È concorrenziale questo modo di appropriarsi delle news da parte di Google?

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Anche le news degli altri sfruttano - com'è noto - gli annunci pubblicitari attraverso la tecnologia messa a disposizione da Google. Ma nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, qualcuno ha provato a contestare il fatto che tutto ciò sia concorrenziale

Da una parte, c’è Google che corre. Dall’altro ci sono delle aziende che vorrebbero concorrere e che, in virtù dell’attuale sistema pubblicitario, faticano a trovare una sorta di equilibrio nei confronti di un colosso come quello di Mountain View. Che non solo sfrutta il proprio ecosistema editoriale per proporre delle inserzioni e degli annunci pubblicitari (da sempre il cuore pulsante dell’editoria), ma utilizza anche le piattaforme di notizie degli altri, garantendo visibilità e – contestualmente – dividendo (in una posizione di forza) i ricavi. Ogni sito, anche quelli più importanti riferibili a gruppi editoriali estremamente ricchi e influenti, presenta uno spazio all’interno del quale trovare degli annunci pubblicitari che sono gestiti da Google.



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Ads Google, la gestione è concorrenziale per l’ecosistema delle notizie?

Su questo aspetto, il colosso di Mountain View ha dovuto fronteggiare, nell’ultimo anno, almeno due procedimenti di rilievo. Uno che si è verificato nel Regno Unito e l’altro in Olanda, con il concorso di diversi operatori del settore che hanno partecipato all’azione collettiva nei confronti del sistema pubblicitario di Google (le cui entrate sono rappresentate per il 16% dal sistema display degli annunci pubblicitari). Secondo l’European Publishers Council «Google ha raggiunto il controllo end-to-end della catena del valore della tecnologia pubblicitaria, vantando quote di mercato fino al 90-100% in segmenti della catena della tecnologia pubblicitaria». Un volume enorme, soprattutto se si considera che la pubblicità è da sempre stata il modello con cui l’editoria è andata avanti, permettendo ai cittadini di essere informati o di poter fruire di contenuti di approfondimento e di intrattenimento.



Google ha sempre cercato di tirarsi fuori dalle accuse, sostenendo i benefici per l’intero ecosistema editoriale delle tecnologie pubblicitarie introdotte dall’azienda Big Tech: «Quando gli editori scelgono di utilizzare i nostri servizi pubblicitari – è il mantra che viene ripetuto a Mountain View -, mantengono la maggior parte delle entrate e ogni anno paghiamo miliardi di dollari direttamente ai partner editoriali nella nostra rete pubblicitaria». Peccato che i miliardi che sono stati incassati in virtù dell’attività quotidiana dei partner editoriali siano più che proporzionati rispetto a ciò che Google offre.

A marzo del 2022, la Commissione Europea ha addirittura avviato una indagine antitrust rispetto al modo di fare pubblicità da parte di Google, rispondendo proprio alle sollecitazioni che arrivavano dagli editori europei. Nel mirino erano finiti gli obblighi di utilizzare i servizi di Google Display & Video 360 (“DV360”) e/o Google Ads per acquistare annunci display online su YouTube, quelli di usare Google Ad Manager per pubblicare annunci display online su YouTube e le limitazioni imposte a Google a terze parti rispetto alle proposte pubblicitarie. E tutto questo andrebbe ad aggiungersi a un’altra sanzione, sempre dell’antitrust UE, del 2021 (pari a 220 milioni di euro).



Che ci sia qualcosa di evidente nella gestione dei propri servizi e delle proprie risorse da parte di Google, insomma, sembra essere appurato, anche in base agli episodi che si sono susseguiti nel corso del tempo. Ma una spallata sistemica – che vada oltre la singola sanzione facilmente gestibile da un’azienda che fattura miliardi di dollari – non è stata ancora assestata. Il tutto mentre l’ecosistema editoriale, a 360 gradi, affonda.