L’omosessualità non è una malattia. Parola di psichiatri cattolici

Svolta sui gay rispetto al vecchio pensiero della Chiesa per il quale “è suonato un vero e proprio requiem”.

Da parte degli psicologi e degli psichiatri cattolici non c’è nessuna difficoltà oggi a riconoscere il contributo della comunità scientifica dove ormai c’è un consenso unanime nel dire che l’omosessualità non è una patologia“. È la svolta del mondo della psicoterapia cattolica deciso ormai a rigettare, come spiega all’ANSA il presidente dell’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici, Tonino Cantelmi, tanto le teorie affermative che conducono alla omosessualità chi si trova nel dubbio, quanto quelle riparative che tendono viceversa a curare l’omosessualità.

IL REQUIEM –Per questi approcci – sentenzia Cantelmi – è suonato ormai un vero e proprio requiem”. “Si tende ad accomunare le terapie riparative ad un approccio cattolico – spiega lo psicologo cattolico – ma questo è sbagliato perchè tali terapie partono da un presupposto non scientifico e cioè che l’omosessualità sia una malattia”. “I cosidetti riparatori – sottolinea energicamente Cantelmi – non sono certo gli psichiatri e gli psicologi cattolici”. Anzi, insiste, “oggi sentiamo di dire una parola definitiva sul fatto che le teorie riparative non sono praticabili e sono riprovevoli”. Cantelmi condivide quanto afferma il Catechismo della Chiesa cattolica quando dice che la genesi psichica dell’omosessualità rimane inspiegabile. “Francamente – ammette – nessuno di noi oggi sa dire qual è il meccanismo se genetico, psicologico o misto, all’origine. La Chiesa però – precisa – da’ su questo orientamento un giudizio morale, condivisibile o meno, ma non parla mai di patologia”. “Oggi noi diciamo – spiega ancora – che l’omosessualità è una variante del comportamento sessuale”. Dal punto di vista terapeutico ciò significa che anche gli psicologi cattolici oggi si affiancano a tutti gli altri nel dire che “l’omosessualità di per sè non giustifica un trattamento psicoterapeutico“.

ACCETTARE LA PROPRIA OMOSESSUALITA’ – Rigettate anche le terapie riparative, “rimane aperta – afferma Cantelmi – una finestra che riguarda le forme egodistoniche, quelle cioè in cui la persona non accetta la propria omosessualità, in cui invece è lecito indagare a 360 gradi”. In questi casi però, precisa lo psichiatra, “deve valere il principio della autodeterminazione del paziente, il che vuol dire lasciare che sia il paziente che a prendere in qualche modo le proprie decisioni attraverso la psicoterapia e a farsi aiutare verso obiettivi che egli stesso stabilisce e che possono essere la scoperta e l’accettazione dell’attrazione per lo stesso sesso o, viceversa, la verifica della propria eterosessualità”. A questo punto, prosegue Cantelmi, “il campo è aperto a ogni possibile risultato, di cambiamento o non cambiamento e quindi la possibilità per una persona con comportamenti prevalentemente eterosessuali di scoprirsi omosessuale e per una persona con comportamenti omosessuali di scoprirsi eterosessuale”. “Una possibilità – conclude Cantelmi – che può riguardare fino al 30 per cento delle persone”.

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