Emanuela Orlandi e Marco Accetti: la soluzione del giallo?

Dopo la puntata di ieri di Chi l’ha visto? torna sui giornali la storia di Emanuela Orlandi. “Merito” del cosiddetto “supertestimone” Marco Fassoni Accetti, che ieri ha deciso, dopo essersi autoaccusato del sequestro della cittadina vaticana, anche di raccontare particolari della morte di José Garramon, il bambino uruguayano ritrovato ucciso sulla strada di via di Castel Porziano alla pineta di Ostia.

marco accetti emanuela orlandi

EMANUELA ORLANDI E LA STORIA DI ACCETTI – Il Fatto Quotidiano pubblica oggi un articolo a firma di Marco Lillo in cui si raccontano ulteriori particolari dell’indagine:

Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ieri è andato con la Polizia agli stabilimenti cinematografici De Paolis, il luogo nel quale è stato fatto ritrovare a Chi l’ha visto, da Marco Accetti, a distanza di 26 anni, un flauto identico a quello che la studentessa portava con sé all’uscita dalla sua scuola di musica quando è sparita a Roma.

E parla anche delle opere di Accetti:

Accetti ancora oggi coltiva la sua passione per l’immagine, il cinema, le frasi ad effetto. Sul suo sito c’è la foto di un bambino acciuffato da un adulto a testa in giù. Il titolo è “Rapimento di M.F.A. (Marco Fassoni Accetti, ndr) ad opera di lavorante nel giardino di un ricco”. Poi, tra mille scatti, ci sono anche la foto di un viandante assalito con un coltello e quella di una ragazza che somiglia un po’ a Emanuela Orlandi, stesa all’interno di una tomba. E poi scritti come “Mamma! Gridava mamma! Gridò mamma come quando nacque. E la sabbia lo allattò”.

marco accetti emanuela orlandi 2

Emergono anche altri particolari del passato di Accetti:

Quando aveva 17 anni ha partecipato a un assalto al liceo Tasso di Roma insieme a un estremista di destra, Sergio Mariani, poi diventato famoso perché è stato il primo compagno di Daniela Di Sotto, ex consorte di Gianfranco Fini. La sua partecipazione all’assalto era stata estemporanea. Accetti non c’entrava nulla con Mariani e non faceva parte del Fronte della Gioventù eppure era lì. Aveva poi militato nei Radicali e secondo il padre (un imprenditore che aveva fatto fortuna in Libia dove Accetti è nato) aveva anche avuto qualche contatto con Lotta Continua

L’INTERVISTA DI CHI L’HA VISTO AD ACCETTI Fiore De Rienzo ha parlato ieri con Accetti della scomparsa del bambino: “Ci fu un comunicato del Phoenix, alcuni erano riconducibili al Sisde, che parlava di una pineta come del luogo in cui avrebbe avuto luogo una nostra presunta aggressione”. La lettera citava anche Pierluigi e Mario, i primi due fantomatici telefonisti del caso Orlandi. Quanto accaduto è successo vicino alla villa di Santiapichi, che avrebbe giudicato Antonov e altri bulgari presunti complici di Alì Agça. “Io non potevo far nulla per questo impatto. Ero in compagnia di un’altra persona, ne constatammo la morte ma non potevamo farci identificare perché non potevamo rivelare cosa facessimo in quella pineta. De Rienzo gli ha chiesto della persona che lo accompagnava: “Sì, c’era una persona. L’ho raccontato al giudice Capaldo”. “Lei questo bambino lo conosceva”, gli dice Rienzo. “Lei sta ricostruendo il processo dell’84″, risponde Accetti.

emanuela orlandi marco accetti 2

A distanza di trent’anni, quindi, e forte anche del ne bis in idem, Accetti cambia versione rispetto a quanto detto in tribunale a proposito della morte di José. Anche se la dottrina specifica che non si intende, nella legislazione italiana, con la stessa imputazione. Alla fine della trasmissione interviene una donna che racconta di essere stata una vicina di casa di Accetti, e di essere interessato a una sua amica quando avevano 13 anni. Anche a loro ha offerto di fare fotografie di moda nel suo studio. Loro hanno sempre rifiutato gli inviti.

emanuela orlandi marco accetti


LA STORIA DI ACCETTI
– Su Repubblica, in un articolo a firma di Paolo Rodari, si parla invece della testimonianza di un monsignore che vuole restare anonimo:

«Giovanni Paolo II qualche mese dopo la scomparsa di Emanuela disse agli Orlandi che si trattava di “un caso di terrorismo internazionale”. Che sia così, ne siamo tutti convinti, ma la domanda resta una: cosa intendeva il Papa per “terrorismo internazionale”? Sono molti oltre il Tevere a ritenere che la scomparsa sia legata alla Banda della Magliana e insieme ad ambienti malavitosi italiani».

E ritorna sulla storia del coinvolgimento della Banda della Magliana:

«Quando la Banda volle riavere quei soldi indietro, Paul Marcinkus, allora presidente della banca vaticana, obiettò che non era possibile a causa del dissesto finanziario. Fu così che, dopo ulteriori richieste andate a vuoto, i clan malavitosi pianificarono il rapimento di un cittadino vaticano come, sono parole dei magistrati, “istanza di restituzione delle ingentissime somme”. I malviventi, insomma, decisero di rapire una ragazza vicina al Vaticano per fare pressione dentro le mura e riavere indietro i propri soldi». E cosa c’entra la sepoltura di De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare? «Come detto il Vaticano aveva un debito con De Pedis il quale, probabilmente, si era consultato prima di fare l’“investimento” nello Ior proprio con don Vergari, quando questi era cappellano del Regina Coeli. Così la sepoltura nella basilica nella quale don Vergari era rettore si spiegherebbe come una sorta di espiazione da parte del Vaticano, o comunque di qualche personalità del Vaticano, di un debito regresso. Come a dire: non ci avete ridato i soldi, pagate il conto così. Insieme, c’è anche la volontà di chi ebbe rapito Emanuela di indicare un luogo significativo per risolvere l’intero mistero».

marco accetti emanuela orlandi

LA PISTA INTERNAZIONALE – Insomma, secondo l’anonimo monsignore siamo ancora dentro una spy story o un gioco di alta finanza:

La pista internazionale e quella interna. Per trent’anni le molteplici ipotesi sul sequestro hanno seguito due strade ritenute troppo superficialmente divergenti perché inconciliabili. Eppure, dentro i sacri palazzi, in molti sono oggi coscienti che pista interna e pista internazionale in realtà sono due facce della medesima medaglia. Dice ancora la fonte anonima: «Wojtyla, quando parlava di “caso internazionale”, si riferiva ai soldi sporchi (ovviamente lui ha scoperto dopo che fossero tali) finiti oltre Cortina, tardivamente consapevole che la provenienza di questi soldi era italiana. La Banda della Magliana, certo, ma anche Cosa Nostra: è agli atti il coinvolgimento del cassiere della mafia Pippo Calò».

marco accetti emanuela orlandi

Ipotesi suggestive e affascinanti, che, come abbiamo sempre scritto in questi anni, “stanno bene su tutto”. Ma per le quali, nonostante gli anni di indagini e di inchieste giornalistiche, non si è trovato uno straccio di prova per collegarle definitivamente alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Così come nessuna prova c’è per le altre piste, quelle che vogliono la Orlandi morta alla fine di un fantomatico festino dalle parti del Vaticano, uccisa da preti e cardinali per pedofilia. Ad oggi, solo tante chiacchiere senza prove. Una prova, invece, potrebbe esserlo il flauto fatto ritrovare da Accetti. E il rasoio di Occam potrebbe benissimo, a quel punto, portarci alla soluzione finale. Fatta la tara delle fantasie di complotti nazionali e internazionali, alla fine i fatti indicano una pista chiara e precisa. Percorrerla vorrebbe dire rinunciare alla fantasia di tanta pubblicistica. E alla fine, scoprire che la verità è molto più semplice. E orrenda.

Share this article