L’Europa e la questione catalana: perché non si può sottovalutarla

La Catalogna reclama l’indipendenza e nei prossimi mesi si potrebbe aprire una importante crisi diplomatica che rischia di mutare il tessuto sociale e territoriale europeo; per ottenerla è pronta ad inasprire la lotta politica interna ed internazionale.

Barcellona, Girona, Lloret de Mar, Mirò, Gaudì e la Sagrada Familia, il Camp Nou e l’F.C. Barcellona. È molto probabile che la maggior parte degli italiani, e non solo, colleghino automaticamente queste città, persone e luoghi direttamente e unicamente alla Spagna; non è del tutto errato, ma non è neanche tutta la verità. I nomi che ho citato possiedono un importante elemento in comune: sono tutti parte della storia, del territorio o della società della Catalogna. E tra Spagna e Catalogna le differenze sono davvero abissali. E attenzione, la Catalogna e la sue ambizioni separatiste poco hanno a che fare con la Padania. Vi spieghiamo anche il perchè.

LA CATALOGNA, QUESTA SCONOSCIUTA – Il territorio che va dai Pirenei mediterranei, compresa la regione sud della Francia con capitale Perpignan, fino a sud, Comunità Valenciana e isole Baleari comprese, nonché la regione sarda di Alghero, ha costituito per centinaia di anni uno stato indipendente e potente, la Catalugna appunto, che ha imposto per secoli il proprio dominio al Mediterraneo, conquistando anche buona parte della penisola italica ed esercitando una massiccia influenza economica e culturale a tutto il meridione d’Italia. Basti considerare che il catalano, la lingua che si parla in Catalogna insieme allo spagnolo, per un lungo periodo fù anche lingua ufficiale dell’ allora Regno delle Due Sicilie. Oggi in Italia è riconosciuta come idioma puro ed è anche lingua ufficiale minoritaria della città di Alghero. Per la comprensione della questione catalana, e il perchè essa sia così importante per la Spagna e soprattutto per la Comunità Europea, senza addentrarci troppo in questioni storiche bisogna però fare un piccolo passo indietro e ripercorrere rapidamente la storia di questa regione. Fino all’11 settembre 1714, giorno della caduta di Barcellona e del Regno di Aragona per mano di Filippo V, che inglobò il territorio catalano in quello che diventerà l’attuale Spagna, la Catalogna fu un vero e proprio stato indipendente, nato quasi un millennio prima, nel X secolo, per mano di Vilfredo I. La conquista spagnola della Catalogna si protrasse fino al 1932, quando essa, dopo la caduta del dittatore Primo de Ribera, si dichiarò autonoma. Nel 1939 il dittatore Franco conquistò ancora la regione, iniziando una repressione che durò fino alla sua morte, nel 1975. Durante questo arco temporale, i separatisti furono duramente repressi e il sangue catalano scorse a fiumi. La castello-fortezza di Montjuic a Barcellona divenne il triste simbolo della repressione franchista; migliaia di catalani vi furono imprigionati, torturati e uccisi per questioni razziali o solo erano stati sentiti parlare il catalano. La lingua catalana era proibita, tanto più lo erano i simboli e le bandiere catalane; sfidare questo divieto portava direttamente nelle segrete di Montjiuc. La morte del dittatore sapgnolo diede nuova vita alla questione separatista della Catalogna. Il 1977 è ricordato dai catalani come l’anno della prima imponente manifestazione democratica a favore dell’indipendenza. Vi fu una presa di coscienza che diede impulso al primo statuto della regione autonoma della Catalogna, la quale, con la riforma della costituzione spagnola sempre del 1977, potè finalmente ristabilire una sorta di autogoverno. Per più di 30 anni, il governo catalano ha lottato al fine di guadagnare sempre più autonomia, imponendo le proprie forze di polizia (i Mossos d’Esquadra), leggi che regolamentano l’istruzione e la sanità, ma potendo fare poco riguardo l’autonomia economica. Ed è proprio questo il punto cardine dove fa perno la nascente “questione catalana”, e che rischia di incendiare il panorama politico internazionale.

CATALOGNA, IL MOTORE DELLA SPAGNA – Sarebbe riduttivo però parlare di motivazioni essenzialmente economiche alla base della lotta indipendentista catalana; la regione gode di una unità territoriale e culturale ben definita. La lingua catalana, ad esempio, ha poco in comune con lo spagnolo, ed è considerata dai catalani come lo strumento di integrazione per i popoli che scelgono la Catalogna e Barcellona in particolare come meta della migrazione. Il popolo catalano, a differenza di altri popoli secessionisti ed indipendentisti, non fa differenze etniche e razziali. Catalano lo è chi accetta, assorbe ed apprende lingua, cultura e mentalità locale; inoltre lo è chi approva e appoggia le questioni sociali come l’autonomia e l’unità territoriale, il rispetto per le diversità e l’integrazione, ed infine, è catalano chi, accettato tutto ciò, lavora e vive onestamente in Catalogna. I catalani quindi, a dispetto come detto di altre popolazioni, sono un insieme variegato di lingue e (passateci il termine) di “razze” completamente differenti. Il pensiero del catalano va al di la’ della persona stessa, ma si basa su un principio morale tanto semplice e scontato, quanto raro da incontrare, e cioè che la diversità è forza, e non il contrario. Forse è proprio per il mix di tutte queste ragioni che la Catalogna è diventata nell’arco di 30 anni il vero motore dell’economia spagnola. I numeri, in questo caso, parlano chiaro: più del 20 % del PIL iberico è prodotto in Catalogna, nonostante essa occupi solo per circa il 5 % del territorio spagnolo e che la sua popolazione non superi il 15 % della popolazione totale. Questa predominanza deriva anche da fattori ambientali, oltre che umani, difatti la posizione geografica affacciata sull’alto Mediterraneo e protesa verso l’Europa mediterranea, ha aiutato molto lo sviluppo industriale e soprattutto il terziario, (il settore delle piccole e medie imprese della Catalogna è uno dei più sviluppati di tutta l’Europa) essendo durante l’autarchia franchista una delle mete preferite per l’immigrazione interna, ed ora mondiale.

10 LUGLIO, L’IMPONENTE MANIFESTAZIONE DI BARCELLONA – Sabato 10 Luglio la capitale catalana è stata il teatro della manifestazione più imponente che la città ricordi. Tema dei manifestanti uno solo: indipendenza. Più di un milione di persone, la stessa polizia ha stimato in 1.100.000 il numero dei partecipanti, è scesa per le strade di Barcellona dopo che il Tribunale Costituzionale aveva rispedito al mittente lo Statuto della regione, che tra le altre cose dichiarava la regione come nazione. La rabbia dei cittadini catalani è derivata dal fatto che questa decisione è giuta del tutto inaspettata, dopo che lo Statuto era stato approvato sia dal parlamento di Catalogna che da quello di Madrid, ovvero il governo centrale di Luis Zapatero. Quindi, a sentire i catalani, se è vero che i parlamenti rappresentano i cittadini, allora il Tribunale Costituzionale non ha rispettato la volontà di milioni di persone, sia catalane che spagnole. E il ragionamento, a dirla tutta, non fa una piega.

LE VOCI DEI PROTAGONISTI – La manifestazione è stata totalemente pacifica, e l’isolato gesto di uno squilibrato che ha tentato di aggredire l’attuale presidente della Regione catalana, non ha minimamente influito sul senso della protesta. Durante la manifestazione abbiamo raccolto molte testimonianze di chi era giunto a Barcellona da tutta la Catalogna, e non solo. Ve ne riportiamo alcune, nel tentativo di comprendere meglio le ragioni di questo evento, che tutti, senza eccezione, hanno definito storico. Tra le varie opinioni raccolte, tutte in comune hanno una visione chiara e dal quale nessuno si discosta riguardante l’economia: l’indipendenza è necessaria per il benessere economico della Catalogna che invia a Madrid (noi diremmo a Roma Ladrona) tasse per un valore di 100 e vede ritornare sul territorio solo 10. Ma naturalmente, seppur la questione economica sia di fondamentale importanza, questa rappresenta solamente una delle ragioni per cui i catalani richiedono l’indipendenza. Interessante il commento di Sergi, 25 anni, che vede la manifestazione come un importante palcoscenico internazionale, mediante il quale la causa indipendentista catalana potrà avere maggiore visibilità e urlare all’Europa e al mondo intero che esiste una Nazione catalana. Maica, 60 anni, e Francesc, 65, sono marito e moglie. Manifestano non solo con la loro presenza, ma anche visivamente, sfoggiando bandiere e un ombrello decisamente “indipendentista” (vedi foto), il loro l’orgoglio dell’essere catalani. Mi dicono “Siamo stranieri, catalani, e non siamo spagnoli, perchè lo stato e il Tribunale Costituzionale non ci rappresentano. Attendiamo la nostra libertà e autonomia”. E sentirsi stranieri in terra propria potrebbe essere decisamente poco piacevole.

SECESSIONE O FEDERALISMO? – Da anni in Catalogna si dibatte su che tipo di indipendenza e autonomia attuare. Delle due correnti di pensiero che vanno per la maggiore, l’una è secessionista, l’altra federalista. Molte persone ci dicono che dopo la bocciatura dello Statuto si sono sentite profondamente offese, moralmente violentate, e che se prima avrebbero accettato di buon grado anche un’autonomia su base di stato federale alla tedesca. “Comprendiamo che per 30 anni lo stato spagnolo ci ha preso in giro. Ora è il momento di reagire.” dice Arantxa. Dello stesso avviso anche Aslane, 35 anni, “Oggi ti direi secessione. Quello che è accaduto è incredibile. Due parlamenti che approvano una decisione di un popolo intero e poi un Tribunale di retaggio franchista boccia tutto. È qualcosa di inaccettabile”. Illuminante poi una sua dichiarazione che ci aiuta a comprendere meglio il popolo spagnolo: “da noi si dice ‘sei come la spada toledana’, cioè fatta di un acciaio durissimo che non si spezza mai, se non quando il colpo è troppo forte. Ecco, il governo di Madrid sta cercando di spezzare questo acciaio, ma la strada sarà davvero lunga. E ora diciamo prou, basta!”. E aggiunge: “La Catalogna è più europeista della Spagna. Ma noi non volevamo uno stato, volevamo soltanto essere indipendenti. E chiedo a Madrid: ma perchè ce l’avete con noi?”. Forse perchè se ad un’automobile togli il motore, questa si ferma e inizia a fare la ruggine. Ma forse le motivazioni sono più complesse.

COSA NE SARÀ DELLA CATALUGNA– Irene, 30 anni, è di avviso diverso sulla questione indipendenza, o meglio, rigurado l’autonomia della Catalogna. Dice ”Io credo nella possibilità di creare uno stato federale dove possano convivere diverse nazionalità, che siano catalane, basche o galiziane fa poca differenze, ma che siano gestite autonomamente, con la possibilità di mutuo soccorso in caso di bisogno. L’unione della diversità fa la forza”. Quindi indipendenza a tutti i costi, ma non a costo della divisione del territorio nazionale. Conclude con una dichiarazione che poi alla fine svela il perchè più di un milione di persone stiano manifestando con tanto fervore: ”Il sentimento catalano è qualcosa di piú che una lingua, un territorio, una danza; è qualcosa che si porta e si sente a pelle e si vede rinforzato ogni volta che qualcuno lo discute o tratta di bloccarlo o di distruggerlo. E facendo cosí, invece, provoca l’effetto contrario: prendiamo ancora piú conscenza di quello che significa e lo difendiamo a morte”. Insomma, qualcosa che va ben oltre i numeri, i soldi e le tasse che non tornano. La Catalogna si sente Nazione, qualcuno addirittura la sente già come Stato, tanto da aver organizzato la selezione nazionale di Catalogna, che, tanto per precisare, sarebbe composta per la quasi totalità da quei giocatori che domenica sera si laureati Campioni del Mondo in Sudafrica. Uno stato a se, o federale, però poco conta. Quello che conta davvero è che qualcosa avvenga, che questa manifestazione inneschi qualcosa di più grande che un semplice dibattito politico. Lo sperano tutti. Alcuni, come Luisa, 30 anni, sono scettici che qualcosa possa cambiare in breve tempo. “ A Madrid” dice “domani (domenica 11 Luglio, nda) si parlerà soltanto della finale Mondiale. E chi parlerà di questa manifestazione lo farà solo in tono denigratorio” cosa che in effetti è avvenuta, seppur in parte e solo da una piccola parte della stampa spagnola. La speranza di Mari, 75 anni, è che “L’unione questa volta faccia la forza. Io ho 75 anni ma sono qui, anche per una mia amica che è malata”.

UNA LUNGA LOTTA – La manifestazione si conclude solo quando ormai è sera inoltrata. Lascia molta speranza nel popolo catalano, nell’autodeterminazione del proprio territorio ad una indipendenza questa volta reale e senza compromessi. Il prossimo ottobre si voterà il nuovo parlamento e Convergenza e Unione, il partito che ha governato la regione per 23 anni sino al 2003, sembra favorito per la riconquista del potere politico. Leggendo i giornali locali, sembra che il livello di scontro politico si alzerà e che questa volta la Catalogna non resterà a guardare e ad aspettare che il suo futuro venga costruito da altri. Si parla di disobbedienza civile, ma non vengono esplicate le eventuali modalità di protesta. Su una cosa i catalani sono tutti d’accordo: no a qualsiasi forma di violenza. Se indipendenza sarà, sarà pacifica. “La lucha serà larga”, la lotta sarà lunga, affermano quasi tutti, ma la determinazione che abbiamo visto negli occhi di chi, famiglie con bambini, giovani e anziani, catalani da sette generazioni e catalani invece per passione, ha manifestato era davvero intensa. Per la Catalogna si apre un periodo importante e l’Europa non potrà certamente snobbare la “questione catalana”. La partita, insomma, è aperta. E che vinca non il migliore, ma il buonsenso.

Con la collaborazione di Irene Palazón Bellver

foto di Linda Marengo

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