Salvo Lima: l’omicidio che aprì la guerra tra Stato e mafia

Sono passati vent’anni. Con la sua morte ebbe inizio l’epoca moderna delle stragi di Cosa Nostra

Era il 31 gennaio 1992, quando con la sentenza della Corte d’Assise d’Appello vennero, non solo confermate le condanne impartite a tutti i principali boss di Cosa Nostra dal maxi processo alla mafia siciliana. 19 ergastoli e oltre 2600 anni di carcere decretavano la validità delle accuse mosse dai giudici Falcone e Borsellino ai danni della cupola della allora più grande organizzazione criminale italiana, del teorema Buscetta, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che i giudici simbolo della lotta antimafia avevano convinto a raccontare.

COMINCIA LA GUERRA – A meno di due mesi da quelle sentenze, il 12 marzo 1992, alle ore 9 e 20, all’uscita della sua villa di Mondello, venne ucciso il potente esponente della Dc Salvo Lima, freddato da alcuni sicari inviati dal Capo dei Capi Totò Riina. Era un segnale plateale. Cosa Nostra, duramente segnata dal giudizio dei tribunali cercava la vendetta agli avversari e alla zona grigia che aveva promesso di difenderla. Dichiarava guerra agli uomini dello Stato come Falcone e Borsellino, che si erano spesi fino all’ultima goccia di forza per minare alle basi dell’organizzazione mafiosa, e ai referenti politici che alla mafia avrebbero dovuto garantire appoggi e affari. In questa chiave, Lima fu la prima vittima di quella stagione stragista che segnò una rottura con il passato di denaro e potere racimolato in silenzio, pax mafiosa, spargimenti di sangue ridotti al minimo necessario.

LA STAGIONE DEL TERRORE – Il 12 marzo ’92 Cosa Nostra uscì allo scoperto. Certo, lo aveva fatto tante altre drammatiche volte. Con Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pio La Torre ed altre vittime. Ma stavolta l’assassinio dava il via ad una vera e propria sequenza di crimini via via più spietati. Dai colpi di pistola si passò al tritolo, poi alle bombe piazzate nei più prestigiosi luoghi di interesse artistico e culturale del Paese (come agli Uffizi, nel ’93), infine alla preparazione di attentati in prossimità di luoghi affollatissimi allo scopo di causare la morte di centinaia di agenti delle forze dell’ordine e gente comune (come allo Stadio Olimpico, nel gennaio ’94). In una fase di transizione e di incertezza del Paese, con un sistema politico e partitico prossimo al collasso sotto i colpi dell’inchiesta Tangentopoli che fece emergere la corruzione dilagante, la mafia rispondeva parlando con il linguaggio a lei più congeniale: la violenza e la morte.

POLITICO MAFIOSO – Le indagini della magistratura nei vent’anni che ci separano dai fatti hanno rivelato come la strategia stragista fortemente voluta da Riina fosse il frutto della necessità di Cosa Nostra di costringere lo Stato a trattare, di cercare e instaurare nuovi contatti con le istituzioni, raggiungere un nuovo equilibrio politico. I giudici nemmeno sull’omicidio Lima nutrono dubbi: colpì un politico mafioso ritenuto non più in grado di garantire gli interessi di Cosa Nostra. Per il delitto da febbraio, è indagato anche Bernardo Provenzano, pluriergastolano ed agli arresti dall’11 aprile 2006, l’altro capo della cupola che per anni si è creduto ostile alla linea imposta da Riina, ma che, in realtà – come stato spiegato da più pentiti – condivise con il Capo dei Capi l’idea dell’attacco frontale. Ai tempi delle prime indagini, tra il ’92 e il ’93, Provenzano era considerato morto, e per questo non fu coinvolto. Il processo a mandanti ed esecutori dell’omicidio Lima si è concluso con le condanne all’ergastolo per tutti, tranne che per il pentito Francesco Onorato, che si è autoaccusato di avere sparato e che ha fruito degli sconti previsti per i collaboratori di giustizia.

IL CONTATTO CON BUSCETTA – Ma chi era Salvo Lima? Ex deputato ed europarlamentare, era il leader del principale partito del Paese in Sicilia e referente della corrente guidata da Giulio Andreotti. Un’amicizia e una vicinanza politica che costarono non poco al senatore a vita. Era in odore di mafia, e non a caso il legame tra Andreotti e Lima, infatti, contribuì alla formulazione delle accuse di colluzione con la mafia piombate sull’ex presidente del Consiglio. Lima conosceva il boss pentito Tommaso Buscetta da decenni. A rivelarlo per primo fu il giudice Cesare Terranova, poi ucciso dalla mafia, in un verbale del 9 dicembre 1963. Confermò la strana conoscenza Lima-Buscetta uno dei collaboratori di Andreotti, Evangelisti, in una testimonianza del primo luglio 1993: “Lima mi disse, una volta, di conoscere Buscetta Tommaso, e che quest’ultimo era stato iscritto ai gruppi giovanili della Dc. Quando io chiesi a Salvo Lima chi fosse Buscetta, egli disse: è un mio amico, uno che conta”. Quando sul caso fu interpellato proprio Andreotti, il senatore smentì tutto. Dichiarò di averlo conosciuto “quando era sindaco di Palermo nel 1968” e di “non aver avuto motivo di considerarlo veramente mafioso”.

“L’UOMO DELLE COSCHE” – Giustificazioni che non hanno mai convinto fino in fondo la magistratura, che già nel ’92 metteva nero su bianco che Lima era “l’uomo delle cosche” e bollava l’omicidio come la “Grande Vendetta”. Lima era l’uomo che a Roma avrebbe dovuto garantire interessi affari e vertenze giudiziarie appoggiandosi ad Andreotti “per le necessità della mafia siciliana” e promettendo “un’aggiustata al maxi processo” grazie all’intervento, poi sventato, del giudice Corrado Carnevale, considerato “manovrabile” in Cassazione.

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