Elezioni Roma 2016, cosa c’è dietro l’affondo di Salvini a Bertolaso

19/02/2016 di Alberto Sofia

Si scrive faida Capitale, si legge in chiave nazionale. Non c’è soltanto il tentativo leghista di provare a riaprire la partita del Campidoglio dietro le quinte dell’affondo di Matteo Salvini contro Guido Bertolaso, sconfessato come candidato ufficiale della “coalizione” Forza Italia – Lega Nord – Fratelli d’Italia-An alle elezioni 2016 a Roma. Con l’ombra di Alfio Marchini ancora all’orizzonte. Né la retromarcia del segretario del Carroccio, dopo la nota ufficiale con la quale insieme al Cav e Meloni aveva chiesto all’ex capo della Protezione civile di accettare la candidatura, si può spiegare soltanto con qualche dichiarazione poco gradita. Certo, a via Bellerio hanno mal digerito le parole di Bertolaso – poi in parte ritrattate – sui «rom vessati». Così come le simpatie sbandierate per Rutelli e Giachetti. Ma sembra «chiaro», accusano gli alleati forzisti e di Fdi, come Salvini giochi in realtà un’altra partita. Da tempo ha lanciato un’Opa sulle macerie del centrodestra. E, al di là degli slogan con la formula dell’«uniti si vince», il fronte esiste ancora soltanto sulla carta. Tenuto insieme, chissà per quanto ancora, soltanto da interessi elettorali reciproci.

ELEZIONI ROMA 2016, COSA C’É DIETRO LO STOP DI SALVINI A GUIDO BERTOLASO

«Salvini sta strumentalizzando qualche parola, mal interpretata, per logiche personali, magari per coprire i pasticci e le grane della giunta lombarda», attacca Fabio Rampelli, braccio destro della Meloni. A sua volta già evocato – e poi subito bruciato dalla Lega – come potenziale nome per le Elezioni Roma 2016. A dir poco adirato, come tutto il partito, per i continui “distinguo” di quello che dovrebbe essere un alleato. E che invece sembra giocare più per sfasciare l’ipotetico fronte comune: «Non ci stiamo a restare con il cerino in mano, paralizzati da chi non sa nemmeno distinguere Acilia da Tor Bella Monaca», replica sarcastico, di fronte alla decisione salviniana di prendere tempo su Bertolaso. Con la “scusa” di «voler ascoltare i romani» dopo le proteste della base. Se Salvini continua con sue “fughe in avanti“, è la minaccia, Fdi azzarda di essere pronta a rimettere tutto in discussione. Pedina dopo pedina, nel  risiko delle candidature del centrodestra. Dal sostegno alle leghista Borgonzoni a Bologna, passando per la candidatura unitaria di Lettieri a Napoli, fino a Torino dove scalpita ancora Maurizio Marrone al posto del forzista e “candidato in pectore” Osvaldo Napoli. Uno scenario da incubo pure per il Cav: se Fi si trovasse sola e la coalizione saltasse, con le percentuali da 10% del partito rischierebbe un disastro.

Certo, al momento restano ancora minacce: “pesarsi” in solitaria, per tutti i partiti, resta ancora una  extrema ratio, almeno alle prossime Amministrative. Perché è chiaro che un’eventuale sconfitta avrebbe un peso diverso. Meglio nascondere e dividere le responsabilità, anche nella peggiore ipotesi di non raggiungere nemmeno il ballottaggio. «La realtà è che Salvini disprezza Roma, non gliene frega nulla della Capitale. Noi stiamo crescendo, evidentemente diamo fastidio e ci teme», è il coro unanime che parte da Fratelli d’Italia nella Capitale. Convinti che la spinta di Salvini a Marchini sia funzionale al suo tentativo di «frenare il radicamento nel territorio di Fdi, proprio nella Capitale che rappresenta il nostro core-business». 

ELEZIONI ROMA 2016, IL CAV PROVA A MEDIARE. MA SALVINI “PICCONA” LA COALIZIONE

Certo, anche dentro Fdi il nome di Bertolaso, con le grane giudiziarie che si porta dietro, scalda poco: «Ma mica lo abbiamo candidato noi, lo abbiamo accettato per senso di responsabilità.  Noi avevamo proposto Rampelli e Dalla Chiesa. Su quest’ultima pure la Lega aveva detto sì, per poi giocare al tiro al piattello», spiegano dal partito. Ora con Bertolaso, di fatto, sembra un remake. Prima il via libera, poi le picconate leghiste. «Non mi farò da parte, ma dovete difendermi», è stata la richiesta ribadita da Bertolaso. «Il miglior sindaco che Roma possa avere», è stato lo scudo pubblico del Cav. Nulla da fare, Salvini insiste e punta a scaricarlo: «Ci serve una settimana, dieci giorni di tempo per riflettere». Tanto basta per giocare a logorare non soltanto Bertolaso, quanto Berlusconi e Meloni. Perché l’interesse, nascosto dietro l’operazione Capitale, resta rosicchiare consenso, guadagnare voti, posizionarsi per strappare qualche altra candidatura pesante nel caso l’unità – si fa per dire – dovesse ricomporsi.

LE GRANE DI BERTOLASO E L’OMBRA DI MARCHINI

Certo è che Alfio Marchini resta più di un convitato di pietra. Gongola, l’imprenditore rampollo figlio di costruttori legati alla sinistra capitolina. Al di là delle scelte finali del centrodestra, è quantomeno riuscito a trascinare la faida romana anche dopo l’annuncio ufficiale su Bertolaso. E magari strapperà pure altri sostegni. Con Salvini, giura, “nessun patto segreto”. E nelle vesti del civico si presenterà anche lui da Rutelli, alla tappa finale de La Prossima Roma, con l’ex sindaco aspirante king maker alle prossime elezioni capitoline. In casa azzurra, dal coordinatore Davide Bordoni al vicepresidente del Parlamento Ue Antonio Tajani, fino a Maurizio Gasparri, non pochi speravano in una convergenza: «Ma ora siamo al lavoro con lui», si difende lo stesso vicepresidente di Palazzo Madama dai corridoi del Senato. Non pochi però hanno consigliato a Bertolaso maggiore prudenza sui media. «Dovrebbe capire che è un candidato di mediazione, tra l’altro senza aver ricevuto una forte legittimazione popolare con le primarie. Al di là di tutti i limiti, sono convinto che le consultazioni sarebbero servite», spiega pure Augusto Minzolini.

Ma in casa Fdi non tutti si fidano delle manovre dietro le quinte tra Lega e FI, temendo un tiro incrociato su Bertolaso per riproporre sempre il «convitato di pietra» Marchini. O magari per provare a spingerlo per il secondo turno. Sul suo nome già c’è la convergenza del Nuovo centrodestra, dei fittiani di CoR e dell’altro ex senatore alfaniano Andrea Augello. Senza contare come su Bertolaso pesino non solo i primi sondaggi interni, giudicati tutt’altro che esaltanti. Quanto il prevedibile copione di una campagna elettorale giocata soprattutto dal M5S sui processi in cui è imputato. Da quello “Grandi rischi” bis a L’Aquila (dove è rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, ndr) fino al più pesante sulla “cricca” degli Appalti al G8, dove è sotto inchiesta per corruzione, con le accuse di aver favorito in modo illecito l’imprenditore Diego Anemone, titolare del Salaria Sport Village, in cambio di denaro e benefit, pure di natura sessuale. «Ma quale sesso! Soltanto massaggi», si è sempre difeso Bertolaso, dopo le storie e le intercettazioni emerse sul suo conto e le accuse dei magistrati. Ma le prime interviste pubbliche hanno già fatto capire quale sarà il  refrain.

SALVINI NERVOSO, AFFONDA SUGLI “ALLEATI”

Un aspetto da non trascurare in casa leghista, che rischia a sua volta di essere travolta dalla questione morale. Altro che le “scope” di Maroni. Dopo lo scandalo lombardo con l’arresto di Fabio Rizzi, e l’inchiesta ligure sulle “spese pazze” che ha coinvolto il fedelissimo Edoardo Rixi (difeso dai vertici del Carroccio), di certo Salvini non ha alcuna voglia di finire trascinato dai guai di Bertolaso. Ma tornare indietro sembra complicato, al di là delle prese di posizione e dei tatticismi. L’unica strada sembra spingere l’ex capo della Protezione Civile a ritirarsi. «Non presentare la lista è un’ipotesi difficile, dobbiamo radicarci», ammettono pure in casa “Noi con Salvini“. Tutti studiano una exit strategy in una coalizione sull’orlo di una crisi di nervi,  ma – almeno per ora – strappare rischia di rivelarsi un azzardo. E lo sa bene pure il segretario federale del Carroccio. Consapevole pure che nella Capitale conti poco o quasi, al di là dei legami instaurati con la destra radicale di Casapound. «Non strapperanno, troppo pericoloso. Significherebbe contarsi contro Meloni. E nella Capitale non conviene alla Lega», c’è chi è convinto in casa azzurra. Altra cosa è affossare i (presunti) alleati. Ormai lo sport preferito di Salvini.

Share this article