Olio d’Oliva, l’inchiesta: «Non era extravergine». Indagate 7 aziende nazionali

Olio d’Oliva

extravergine che non lo era. I Nas di Torino hanno condotto un’indagine che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati per frode in commercio i rappresentanti legali di Carapelli, Bertolli, Santa Sabina, Coricelli, Sasso, Primadonna e Antica Badia. Secondo i campionamenti effettuati dai Nas è emerso che le sette imprese avrebbero dichiarato al consumatore che il loro olio era extravergine o al cento per cento o comunque presente e miscelato con altri olii – quando in realtà sarebbe semplicemente stato “olio vergine”.

OLIO D’OLIVA, L’INCHIESTA: I MARCHI SOTTO ACCUSA –

Il Pm Raffaele Guariniello ha informato il ministero delle Politiche Agricole illustrando il lavoro svolto dai Nas che hanno effettuato i campionamenti nei laboratori dell’Agenzia delle Dogane. Secondo quanto riportato dal Fatto Alimentare un esame condotto dalla rivista Test (ex Salvagente) su 20 bottiglie d’olio extra vergine declassandone quasi la metà a olio vergine per la presenza di difetti organolettici e di alcuni parametri chimici critici. La norma sull’olio datata 1991 prevede che per ottenere l’appellativo “extra Vergine” il prodotto non deve presentare difetti e deve superare la prova del panel test, obbligatoria per legge.

Dal test condotto è emerso che su 20 marche nove non avevano superato gli esami previsti dalla legge. La lista inizia con un difetto riscontrato nelle bottiglie e definito “riscaldo-morchia”. Per “riscaldo” s’intende una caratteristica propria delle olive che hanno sofferto un avanzato grado di fermentazione, con un odore e un gusto di fortore. La parola “morchia” invece sottintende un olio rimasto per lungo tempo a contatto con le impurità da cui si libera una volta decantato. Nello specifico, ecco quali sono i marchi che non hanno superato l’esame: “Si tratterebbe di Carapelli, Santa Sabina, Bertolli, Coricelli, Sasso, Primadonna (confezionato per la Lidl) e Antica Badia (per Eurospin)”, tutti oli prodotti in Toscana, Abruzzo e Liguria”. Il difetto di rancido è stato riscontrato nell’olio De Cecco, Bertolli Gentile e Carrefour. Il difetto di muffa e umidità terra ha interessato l’olio Sasso. L’attribuzione anche di una sola nota negativa – ha precisato la rivista – ha automaticamente decretato il declassamento dalla categoria “extravergine” a quella inferiore di “vergine” che viene pagato all’ingrosso il 30-40% in meno. La prova chimica degli alchil esteri ha indirettamente confermato le criticità riscontrante nella prova di assaggio. Non è la prima volta che l’extra vergine italiano scivola.

Già nel 2005 era stata la rivista Merum, dopo due prove d’assaggio, ad aver decretato come ben 30 su 31 campioni fossero stati erroneamente denominati extravergine in quanto “puzzavano di rancido”. Nel gennaio 2010, un test comparativo svolto dalla trasmissione “A bon entendeur” sul canale svizzero Tsr, attribuì giudizi molto deludenti ad alcuni prestigiosi marchi tricolore. Fino alla bocciatura arrivata dal panel test dell’Olive Center dell’Università di California di Davis: declassati a vergini i campioni di Carapelli, Bertolli, Colavita e Filippo Berio. Poco tempo dopo, nel 2012, un test condotto dal mensile francese 60 Millions de Consommateurs declassò a “vergine” alcuni prodotti, tra i quali il Carapelli Classico. La prova completa si trova sulla rivista Test in vendita in edicola.

OLIO D’OLIVA, L’INCHIESTA:  –

L’inchiesta è nata nel giugno del 2015 con l’arrivo di una segnalazione, inviata al procuratore Guariniello in persona, dal mensile Il Test (ex Salvagente). Un’annata particolarmente dura per la produzione di olio, considerato anche il nodo della xylella. E con il rischio per i produttori, per risparmiare, di rivolgersi all’estero o di vendere olii più scadenti.

L’inchiesta di Guariniello non verte sulla potenziale nocività degli olii venduti. Nessuna delle sostanze analizzate infatti ha messo in commercio prodotti nocivi per la salute. L’unico problema è quello – secondo l’accusa – del potenziale inganno rivolto al consumatore, che avrebbe pagato circa il 30percento in più una bottiglia di olio pensando che fosse “extra vergine” quando in realtà non lo era. Gli olii “incriminati” sono stati giudicati dall’agenzia delle dogane “scarsi” non in assoluto, ma in rapporto alla dicitura che riportavano sull’etichetta.

Share this article