La peggiore baraccopoli del mondo

29/12/2011 di Maghdi Abo Abia

La passeggiata del NYT a Dharavi, la corte dei miracoli indiana. Tra lavoro, sporcizia, politica, educazione e speranza

Il New York Times ci porta a Dharavi, ai margini della più grande baraccopoli dell’India, all’interno della città economicamente più forte del Paese, Mumbai. Si parte da un palazzo di quattro piani tagliato a metà. Una parte è stata demolita. L’altra sta in piedi a fatica. Eppure in ogni piano c’è gente che lavora. Assembla prodotti, taglia jeans, cuce, crea moda. Nei labirinti della baraccopoli di Dharavi ci sono 60 mila strutture, molte delle quali fatiscenti, e più di un milione di lavoratori in una zona grande due terzi di Central Park.

DI CHE SI TRATTA – Dharavi è la peggiore baraccopoli del mondo, specchio della miseria indiana. Eppure è una zona economicamente ricca, con un prodotto interno lordo che va dai 600 milioni al miliardo di dollari. “Si tratta di un’economia parallela”, ha detto il signor Mobin, la cui famiglia è impegnata in numerosi affari nella baraccopoli. In India, al contrario del resto del mondo, ci sono due economie.  L’India è una potenza economica in espansione, e molti settori lavorano ancora nell’ombra. Nell’economia “istituzionale” si pagano le tasse, si regolarizzano i lavoratori e ci si prepara all’ingresso nell’alta società mondiale. L’economia “informale” invece, è caratterizzata da milioni di piccoli negozianti, contadini, muratori, tassisti, venditori da strada, tutto fare e tanti altri ancora. Secondo gli esperti, sarebbe proprio l’economia informale indiana a trainarla e a spingerla, con un tasso di crescita pari al 90 per cento della produzione complessiva. Il tutto lontano dagli sguardi indiscreti del Governo.

LE DIFFICOLTA’ – Per anni lo Stato ha cercato di sviluppare specifiche zone manifatturiere. Dharavi invece può essere paragonata a un “porto franco” per poveri. “Il problema indiano è che il governo non ha fatto niente per facilitare l’ingresso nell’economia istituzionale, e per questo motivo che l’informale tira ancora così tanto”, ha dichiarato Eswar Prasad, economista. Dharavi è un fenomeno così stupefacente da essere stato studiato anche alla Business School di Harvard. “Dharavi a prima vista potrebbe essere solo una baraccopoli. In realtà è una città parallela”, ha detto Gautam Chatterjee, segretario del Ministero per le abitazioni nello stato di Maharashtra. E in quanto parallela è sicuramente fragile. Le strade puzzano di liquame. Nell’area c’è un’odore dolciastro. Mancano i servizi igienici e l’acqua. Non c’è spazio. Otto operai vivono in una piccola stanza. Manca l’igiene. La diarrea e la malaria sono malattie più che comuni. La tubercolosi aleggia come fosse una farfalla. Dharavi viene catalogata dallo Stato come un problema irrisolto, un emblema della povertà.

FORZA INTERIORE – Il traffico è vivo. Troppo. Mosche e zanzare vivacchiano sui cibi e sulle pecore presenti. Dieci famiglie si dividono un rubinetto che distribuisce acqua per tre sole ore al giorno, tempo sufficiente perché si possano riempire almeno due taniche. 3 centesimi e si può fare la cacca. I liquami di fogna scorrono per strada. Sono 3000 gli abitanti della baraccopoli ricoverati ogni giorno per asma e diarrea. Eppure la gente non si piange addosso. Non soffre per le sue condizioni. Cerca di andare avanti. Una terra in cui chiunque ha voglia di lavorare e mettersi in gioco trova il suo spazio.

IL RUOLO DELLA POLITICA – La politica parla ai quattro venti della necessità di un’evoluzione di Dharavi. Non per chi ci abita, ma per la classe media che vorrebbe “colonizzare” la città informale. Se Mumbai è il simbolo dell’esplosione economica dell’India, Dharavi negli ultimi anni sta attirando l’interesse del mondo economico. Una baraccopoli cresciuta come una grande città, con tutti gli imbarazzi della classe politica. Dharavi rappresenta la voglia di emergere delle baraccopoli del Paese, Mumbai compresa. “La gente viene qua, impara un lavoro e lo porta nelle sue baraccopoli”, ha detto Vineet Joglekar, un leader locale. A Dharavi sono ancora in pochi a pagare le tasse. I politici fanno il giro della baraccopoli per raccogliere voti e poco altro.

IL TENTATIVO DEI GANDHI – Eppure negli anni ’80 la politica cercò di dare risposte serie a questa baraccopoli. Rajiv Gandhi stanziò un milione di rupie per un programma che portasse all’evoluzione civile di Dharavi. Eppure dopo 30 anni non è cambiato nulla. Si parla ancora della necessità di emancipare la città nella città. Oggi la corte dei miracoli vale milioni di dollari. I privati vorrebbero impossessarsene per svilupparla, e non certo in favore degli abitanti. Un piano del 2006 prevedeva la costruzione di abitazioni residenziali nel suo cuore pulsante. I locali avversarono il piano, che rimase nel cassetto fino ai giorni nostri.

EDUCAZIONE – La vera speranza a Dharavi si chiama educazione. Nessuno si preoccupa della religione. I genitori vogliono che i loro figli imparino l’inglese, ritenuto il passaporto per scappare dalla lì. La scuola è anche la via per sottrarre molti piccoli al lavoro, visto come unica alternativa all’educazione, senza contare che spesso chi viene dalla baraccopoli viene visto male anche dagli stessi insegnanti, provenienti magari da zone in cui la baraccopoli fa rima con povertà, disperazione, puzza. Dharavi con Mumbai. La fame e la sete. L’immagine di un paese, l’India, ancora incapace di riconoscere e apprezzare la propria diversità. Un paese “parallelo” che si accetta così com’è e che forse deve la sua forza proprio alla sua varietà.

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